Marco come Gilles Quelle vite al limite

A volte, ci ricordava Superpippo. Se non sbagliamo, all'inizio lo chiamavano proprio così: Superpippo. Infilato nella tuta come fosse un pigiama di lana, buono, a volte ingenuo nella sua comunicazione terra terra a cui mancava solo la tipica espressione: «yuk». Ma esplosivo, cattivo, aggressivo nel suo costume da battaglia, quando infilava il casco e mangiava la spagnoletta. Nei fumetti, però, ci si salva sempre. Nella vita vera, no. Nelle corse di moto, no. Marco Simoncelli se ne è andato nella maniera più crudele. Sempre che possano esserci classifiche di questo tipo. Investito dal suo migliore amico, Valentino Rossi. Un particolare secondario probabilmente, anzi sicuramente, ma sul quale ieri le tv hanno indugiato, e cercato di sorvolare a lungo. Sino a quando immagini, e una foto (che pubblichiamo all'interno) non hanno chiarito anche questo aspetto, mettendo la firma all'aspetto più crudele della vicenda. Marco Simoncelli aveva tutto per sfondare, con un pugno mediatico vigoroso, questo mondo di plastica che ci somministrano in ogni campo. Aveva i capelli ribelli che gli uscivano dal casco, come gli eroi degli Anni Settanta. Aveva un modo di correre non politically correct. Era sempre al limite. Qualche volta esagerava. Cosa che, giustamente, preoccupava i suoi colleghi. Come ai tempi di Gilles Villeneuve, che ricordava per quel suo giocherellare con il rischio. Solo che ai tempi di Villeneuve, la gente e i giornali lasciavano fossero beghe dei box, e si schieravano con l'aviatore, con il trapezista. Qui, cinque mesi fa, hanno dovuto dargli le guardie del corpo. Questo per dire che Simoncelli era nato in un epoca sbagliata. Dove la fantasia è messa al bando. Non viene solo raccontata, ma spesso messa alla gogna. E' finita male. Come avevano previsto alcuni suoi colleghi. Ma in fondo, di fronte a uno che affronta un sport come il motociclismo, in quella maniera, senza rete, bisognerebbe solo togliersi il capello.
La morte in diretta è sempre un brutto pugno nello stomaco. Ma questo mondo sembra avere molta voglia di abituarvicisi. Guardando Simoncelli strisciare per terra come un pupazzo, ci è venuto in mente, pensate un po', Gheddafi. Quel morto insanguinato, mandato in onda in maniera ossessiva ogni minuto nei tg e nei talk show. Ma non c'erano le fasce protette? Anche ieri, fatta salva la diretta e il diritto di cronaca, l'ossessionante ripetersi delle immagini, senza sosta, in maniera martellante, è sembrata uno sfregio al ragazzo.
Fa impressione anche la trasformazione che ha avuto il motociclismo negli anni e l'abbinamento con la parola "gioco". E' un gioco, perché questi piloti cominciano a correre quando hanno 6-7 anni con mini bolidi da spavento. E man mano che crescono, continuano ad abbinare l'aspetto giocoso anche quando le cose si fanno terribilmente serie. Scherzano, ammiccano dalla griglia di partenza, si travestono, festeggiano con pezzi di teatro, pupazzi e scenette assortite, e quando cadono prendono poco sul serio il dolore e le ferite, sorridendo dagli ospedali su facebook o su twitter. Tanto che ti viene in mente sia una disciplina pericolosa solo nel mito, nelle leggende del passato. Finché una mattina di ottobre scopri che c'è poco da scherzare.

Nicola Nenci

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