Como: ripartenza a metà
Tra chi ci prova e chi non è pronto

La città si rianima dopo oltre due mesi. Fuori dai negozi gel e guanti. Ma alcuni restano chiusi

“Partire partirò, partir bisogna”, intimava una celebre canzonetta lombarda d’Ottocento. Invece ora si tratta di ripartire e ognuno lo ha fatto a modo suo, anche... non ripartendo. La cronaca di questa prima giornata di “lockup” non può descrivere un’unica Como, perché ieri ci sono apparse diverse città, tutte nella stessa. C’è la Como dei negozianti per cui poter alzare, definitivamente, la serranda rappresenta la fine di un incubo, con il timore che se ne possa profilare un altro all’orizzonte, perché i clienti scarseggeranno.

Mancano gli svizzeri

Non bastano i comaschi, infatti, per fare affari. «Ci mancheranno gli svizzeri nel weekend – commenta Giovanni Magatti de La Feltrinelli, già aperta da settimane e, quindi, già con il polso della situazione – Perché i comaschi possono entrare nel tuo negozio ogni giorno, gli svizzeri, invece, si concentrano nel weekend e incidono molto sugli incassi di tutti». Ma fino al 3 giugno le frontiere sono bloccate e bisogna comunque vedere come la Confederazione recepirà il decreto italiano. Senza contare, naturalmente, la grande massa di turisti da tutto il mondo che non vedremo più, almeno nel 2020. Una cosa va sottolineata, però: i negozianti del centro ce l’hanno messa davvero tutta: contingentano i clienti, fanno rispettare le distanze, tutto con estrema gentilezza e il sorriso sulle labbra (naturalmente coperte dalla mascherina, ma si capisce dagli occhi). Forse questo lungo periodo di chiusura ha insegnato a tutti qualcosa: a chi vende quanto sono preziosi i clienti e quanto è meglio trattarli con cortesia, a chi compra quanto siano indispensabili i propri negozi preferiti e anche il rapporto umano con chi ti aiuta e ti consiglia invece dell’asettico click per ordinare a distanza.

In tutta la città murata ogni ingresso è corredato da una o più boccette di disinfettante e guanti monouso e, nonostante i cartelli ben visibili, i commessi ricordano le prescrizioni ai clienti distratti. Eh sì, perché è facile distrarsi e dimenticare, per un momento, le regole. Perché c’è un’altra Como, quella di chi si ritrova a uscire dopo più di sessanta giorni di sortite furtive, spese colossali, giretti con il cane e poco più. E ci si rincontra anche se, si scopre, non c’è molto da raccontarsi (come De Niro in “C’era una volta in America”: “Cosa hai fatto per tutto questo tempo?”, “Sono andato a letto presto”). In compenso gli amici che si ritrovano faticano a non abbracciarsi, a darsi gran pacche sulle spalle. Qualcuno si stringe la mano e poi rimane lì a fissarsi reciprocamente negli occhi con l’impressione di aver fatto qualcosa di sbagliato (niente paura: basta igienizzarsi subito mentre dire “Eh, vabbè non è l’atteggiamento corretto”, neppure se si tratta del vostro migliore amico). Difficile anche non “fare capannello”, ovvero non creare il temutissimo assembramento quando si parla in quattro o più.

Attenti alle distanze

Ma, novità, si potrebbe sentire una voce alle proprie spalle che ricorda: «Il metro, signori, per favore tenete un metro di distanza». Poliziotti in bicicletta girano per le piazze richiamando, con gentilezza, al rispetto delle norme. L’unico problema è che, a quel punto, tutti fanno un passo indietro, come scolaretti colti a fumare di nascosto, e poi, a poco a poco si riavvicinano. La mascherina per alcuni è un accessorio che si abbassa quando si parla (il momento più sbagliato per farlo), quando si chiacchiera al telefono, quando si fuma, quando si beve. E c’è un’ultima Como, ancora, di cui bisogna tenere conto. La Como che non ha riaperto. I negozi chiusi, i bar, i ristoranti che non hanno potuto, magari solo per un giorno, uscire dalla “fase uno”. Sarà una lunga estate.

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