«L’obiettivo in A? Il decimo posto». Lo Stadio, che idea

L’intervista Mirwan Suwarso parla del progetto Como: «Il mercato? Non credete ai nomi altisonanti»

Appuntamento alle 12.30, in via Masia. Sede delle operazioni Sent sul territorio. Solito via vai di giovani addetti nell’open space, si respira aria di una frizzante iperattività informale. E c’è lui, Mirwan Suwarso, manager capo delle operazioni su Como, sia calcistiche che non, pronto per la sua prima intervista in serie A.

Contento?

Contentissimo. Spero che lo siate anche voi.

Un grande traguardo.

Sì, siamo riusciti a far quadrare tutto. Tutto sommato, anche in breve tempo.

Quando ha capito che si poteva fare?

Mmmmm... (ci pensa, ndr). Prima di tutto, quando abbiamo visto che con Fabregas c’era una nuova mentalità, la squadra stava più “alta”, rischiava meno, era più focalizzata all’obiettivo. Prima era più pericoloso per il mio cuore... Poi quando ho visto come ha reagito alla sconfitta con l’Ascoli, in casa. I dati ci dicevano che la squadra era competitiva, avevamo fiducia.

Ma ci sarà stato un momento in cui si è detto: ce la facciamo!

Forse dopo aver visto il primo tempo a Palermo. Abbiamo perso 3-0 ma abbiamo dominato.

Un momento in cui ha avuto paura?

Un po’ a Cremona, per come abbiamo perso, alla fine; e un po’ a Modena, per ovvi motivi.

Lei però ha sempre dato una immagine di serenità...

In Inghilterra si dice: sono una papera. La parte alta sembra tranquilla, ma sotto l’acqua fa andare vorticosamente le zampe... (ride, ndr).

Come ha festeggiato?

Sono andato in hotel. Ho imparato al vivere il calcio con la testa, senza perdermi in reazioni scomposte. Quando ha segnato il Venezia mi sono detto: al limite l’anno prossimo rifaremo la B, con rinnovati sforzi.

Ha visto la festa in città?

Sì, perché sono andato a piedi dallo stadio all’hotel. E’ stato bellissimo. Mi fermava un sacco di gente. Sapete una cosa?

Dica?

La famiglia Hartono ha visto la partita alle 3 di notte in tv, e poi ha voluto le immagini della festa in città. Tutte quelle che trovavo. Erano entusiasti di questa felicità generale.

Adesso c’è la Serie A. Obiettivo?

Mmmm... (ci pensa, ndr). Decimo posto potrebbe essere un buon obiettivo. Oggi abbiamo fatto la prima riunione operativa. Dobbiamo strutturarci.

Di cosa avete parlato?

La prima esigenza è rinforzare lo staff tecnico. Vogliamo avere allenatori dedicati per far migliorare ogni singolo giocatore, lavorare sullo scouting, con sei nuovi addetti per la prima squadra e sei per la Primavera, che l’anno prossimo diventerà Primavera 1.

Chi allenerà?

Una volta ottenuto il patentino (luglio?, ndr) dovrebbe essere Fabregas, certo.

E Roberts?

Sarà capo dello sviluppo, con un occhio a tutto il progetto tecnico dalle giovanili in su. In futuro ci piacerebbe una filiera di allenatori pronti a crescere dalle giovanili e arrivare alla prima squadra, con la stessa filosofia.

Si sono letti nomi di big, che spuntano qua e là.

Non ci credete. Stiamo impostando un mercato funzionale alla nostra causa. Se poi capiterà l’occasione di avere un nome nobile, vedremo. Ma per ora stiamo valutando in che aree operare.

Chi resta di sicuro?

Kone, perché non si abbandona un ragazzo infortunato. Il resto si vedrà. Cutrone, Gabrielloni e altri li vedo con noi, però.

Stadio. A che punto siamo?

Stiamo ultimando la stampa dei documenti. Nei prossimi giorni lo presenteremo al Comune. Se ci sarò? Non è detto, c’è chi si occupa della questione.

Ci sono novità?

Abbiamo incontrato i Percassi, che ci hanno spiegato nel dettaglio come hanno operato loro, settore per settore. Per ogni settore, servono quattro mesi di lavoro.

Potrebbero costruirlo loro?

Spero. Sarebbe una bella cosa, vista la loro operatività sullo stadio di Bergamo.

Lei negli ultimi post dopo la promozione ha fatto ripetutamente riferimento agli scettici. Era un messaggio diretto a chi?

Non era diretto a nessuno in particolare. Solo il ricordo che all’inizio del campionato nelle valutazioni della stampa nazionale, nessuno aveva dato credito al Como. Eravamo sempre negli ultimi posti delle valutazioni. Non ci davano fiducia. Però abbiamo lavorato bene.

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