«In Ticino è sempre più difficile arrivare a fine mese»

L’intervista La situazione più difficile in Canton Ticino: l’analisi del copresidente del Partito Socialista Fabrizio Sirica: «Qui i salari sono inferiori al resto della Svizzera, ne fanno le spese le famiglie della cosiddetta classe media»

Sempre più difficile arrivare a fine mese in Ticino e in ampie zone dei 26 Cantoni svizzeri. Fenomeno che anche sul nostro lato del confine ha ripercussioni sia per l’aumento (grazie anche al franco forte) del numero cittadini ticinesi che si rivolgono ai nostri supermercati ed ipermercati sia per l’impennata dei frontalieri “al contrario” ovvero cittadini del vicino Cantone che per arginare il caro vita scelgono di venire a vivere su questo lato del confine, conservando lo status svizzero.

Inevitabile chiedere al copresidente del Partito Socialista ticinese nonché granconsigliere Fabrizio Sirica (sua la mozione per la settimana lavorativa lunga quattro giorni) un commento in presa diretta su questo nuovo allarme sulla tenuta delle finanze di molte famiglie del vicino Cantone.

Perché ci si trova in questa situazione?

«Ci sono tanti motivi per essere preoccupati non solo in Ticino, ma in larga parte della nostra Confederazione. Un recente report ha parlato di 188 mila precetti esecutivi (gli ultimi numeri di riferimento parlavano di 173 mila precetti esecutivi), un dato in forte aumento che certifica come i ticinesi facciano sempre più fatica ad onorare i propri impegni. In crescita è anche il dato di chi non riesce ad onorare le scadenze fiscali, vale a dire le imposte comunali e cantonali. Un quadro tutt’altro che rassicurante, dunque».

L’Unione Sindacale Svizzera nel recente rapporto sui salari ha rimarcato come una volta onorate tasse e affitto in tasca resti davvero poco. E’ così?

«Manca forse la voce di maggior rilievo per le finanze di ciascuna economia domestica ovvero delle singole famiglie. Il riferimento è ai premi della “Cassa Malati” (l’assicurazione sanitaria obbligatoria, ndr) che incidono pesantemente sui budget familiari. La ritengo la prima tra le problematiche con cui si stanno confrontando le famiglie svizzere. E anche l’ultimo barometro sullo “stato di salute” delle famiglie svizzere sotto il profilo economico ha rivelato un’esplosione dei costi sul tema della salute e della sanità. Ricordo che il Ticino lo scorso anno ha avuto il premio legato alla “Cassa Malati” più alto dell’intera Svizzera. E poi c’è un altro dettaglio da rimarcare».

Si riferisce al gap salariale tra il Ticino e il resto della Svizzera?

«Proprio così. In una sorta di preoccupante equazione nel nostro Cantone ci sono i salari più bassi e il premio della “Cassa Malati” più alto. In questo contesto segnalo che il 9 giugno è in votazione una consultazione popolare che esprime un concetto molto semplice ovvero di arrivare al 10% del reddito disponibile di ciascuna famiglia quale soglia massima del premio di “Cassa Malati”. E’ un’iniziativa su base federale e dunque rivolta a tutta la Svizzera. Il Partito Socialista nel contempo ha lanciato una sua iniziativa su base cantonale finalizzata a riproporre l’argomento in Ticino qualora la consultazione trovasse, come ad oggi ipotizzabile, ampi consensi nel nostro Cantone, ma non nel resto della Svizzera. Lo ripeto. In questo momento storico la “Cassa malati” è il problema maggiore con cui soprattutto il ceto medio si sta confrontando».

Cosa accade invece ai redditi più bassi?

«Ho utilizzato non a caso la dizione “ceto medio”. I redditi più bassi possono disporre di sussidi che alleviano questo salasso. Chiaro si sta parlando di situazioni comunque difficili prese singolarmente. A livello generale, il potere d’acquisto si è fortemente indebolito proprio a causa dei premi legati alla Cassa Malati».

Prova ne sia che uno svizzero su sei fatica ad arrivare a fine mese. Soprattutto al confine, per diretta conseguenza, si sta verificando il fenomeno dei frontalieri “al contrario”, cioè ticinesi che pur mantenendo lo status svizzero non hanno esitazioni nel lasciare il Cantone di confine per venire a vivere in Italia. E’ ipotizzabile un ulteriore aumento da qui a fine anno?

«Penso che inevitabilmente questo fenomeno andrà aumentando. Per un numero sempre più importante di ticinesi, l’unica alternativa percorribile è andare a vivere oltreconfine. Aggiungo che si tratta di un fenomeno non sufficientemente monitorato dalla politica ticinese, perché evidentemente non si vuole per motivi diversi affrontare questo tema. Urgono contromisure rapide ed efficaci, a cominciare dalla riduzione del premio della “Cassa Malati”. Un altro tema sensibile riguarda il salario minimo, tema che il Partito Socialista ha posto all’attenzione del grande pubblico attraverso un’iniziativa popolare che si preannuncia di grande interesse».

Un altro tema di grande interesse (anche) in Ticino riguarda la settimana lavorativa pari a quattro giorni, su cui il Partito Socialista aveva depositato una mozione in Gran Consiglio che la vedeva come primo firmatario. Tema che ha valicato anche i confini cantonali. Ci sono aggiornamenti, data l’attualità dell’argomento?

«Questa mozione giace in un cassetto dalla Commissione Economia e Lavoro del Gran Consiglio. Al momento non ci sono novità e soprattutto non c’è particolare volontà politica di portare sotto i riflettori questo argomento, almeno sul medio periodo. Le priorità in questa fase sono altre nell’agenda politica del Governo cantonale. Forse perché la settimana lavorativa a quattro giorni porterebbe poi in dote importanti cambiamenti strutturali applicabili sul medio e lungo termine. Lo ritengo comunque un tema di grande interesse nell’ottica anche di quella maggiore conciliabilità tra famiglia e lavoro che rientra tra le nostre priorità a livello cantonale».

”Provate a vivere con l’attuale salario minimo ticinese, 42 ore in fabbrica per 3200 franchi netti, con 1100 di affitto e 400 di Cassa malati”. E’ l’incipit del suo post con cui ha celebrato il 1° maggio, festa dei lavoratori. Post peraltro molto commentato. E’ una situazione insostenibile?

«Senza ombra di dubbio sì, soprattutto per quei salari che non sono sottoposti a Contratto collettivo e quindi non possono nemmeno usufruire della boccata d’ossigeno rappresentata da eventuali aumenti. Negli ultimi due anni, l’inflazione sta galoppando con il costo della vita che in tutta la Svizzera e in particolare in Ticino è aumentato davvero in modo ragguardevole. Costo della vita che, secondo quanto rimarcato dall’Unione Sindacale Svizzera, non considera appieno i premi di Cassa Malati, per tornare sul vero vulnus di tutta questa situazione. Nei settori dove non c’è Contratto collettivo, le cose peggiorano di anno in anno. I budget familiari sono dunque sotto lo scacco dei rincari e la soglia di povertà delle famiglie si è purtroppo ampliata. E qui ritorna il concetto espresso poc’anzi dell’aumento delle spese sociali e così dei precetti esecutivi».

Infine una domanda politica. Essendo il Ticino il principale datore di lavoro della Lombardia, questa politica al ribasso dei salari può rappresentare un disincentivo insieme al nuovo accordo fiscale a venire a lavorare oltreconfine?

«Sicuramente il nuovo accordo fiscale ha un impatto importante per i “nuovi” frontalieri. Aggiungo che uno degli aspetti più problematici degli ultimi anni è rappresentato proprio dal fatto che molti datori di lavoro sfruttano il fatto di poter pagare meno i frontalieri, con un impatto importante su tutte le dinamiche salariali. Occorrono misure che garantiscano un salario minimo, che garantirebbe anche a molti lavoratori ticinesi di vivere nel nostro Cantone senza richiedere aiuti sociali».

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