Gli stadi del mondo, pezzi di storia e poesia

Un libro passa in rassegna i campi di calcio più particolari del pianeta e diventa lo spunto per una riflessione d’autore sull’edificio che è simbolo dello sport fin dall’antica Grecia

Quest’estate ci saranno le Olimpiadi a Parigi. Tra i luoghi simbolo di questo avvenimento c’è senz’altro lo stadio. Ambiente pratico (fin dall’etimologia, dal greco antico “stàdion”, misura di circa 170 metri), dove accogliere le persone e farle sentire a loro agio, può essere lo stadio anche qualcos’altro – per dire, un luogo di poesia e incantamento, di fascinazione e scoperta? Un ambiente per molti familiare a cadenza più o meno settimanale si può prestare a essere anche “altro”, generatore perché no? di sensi e sensazioni? Non semplice posto dove sedersi e guardare uno spettacolo esterno, ma esso stesso spettacolo? (Del resto ce lo ricorda Albert Camus: «Non c’è un altro posto al mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio»). Queste e altre domande sono nate sfogliando avidamente lo splendido libro fotografico di Vladimir Crescenzo, “Il giro del mondo in 80 stadi. I campi da calcio più incredibili del pianeta”, che Meltemi manda in libreria. Il libro mostra stadi particolarissimi, per costruzione, posizione, storia, da tutto il mondo, che diventano anche e soprattutto qualcosa di più: specchio dei luoghi circostanti, delle persone che li frequentano (quando ci sono i posti, perché non sempre è così!), dei loro popoli, delle loro città.

Ma prima di addentrarci nella scoperta di questi stadi che sono, loro sì, anche poetici e sorprendenti, una domanda di riscaldamento: quali poesie vi vengono in mente legate a questi luoghi? (Prendetelo anche come suggerimento per un gioco da fare in famiglia o con gli amici, o per un’attività scolastica diversa dal solito…) Così su due piedi, diremmo innanzitutto la celebre serie di Umberto Saba “Cinque poesie per il gioco del calcio”, ispirata all’amata Triestina, in modo particolare la quarta che rende benissimo l’atmosfera di condivisione e isolamento sugli spalti: «Sui gradini un manipolo sparuto / si riscaldava di se stesso. / E quando / – smisurata raggiera – il sole spense / dietro una casa il suo barbaglio, il campo / schiarì il presentimento della notte. / […] / Piaceva / essere così pochi intirizziti / uniti, come ultimi uomini su un monte, / a guardare di là l’ultima gara». E ancora, Vittorio Sereni, gran tifoso interista, in “Altro compleanno” offre il ritratto di uno stadio invece vuoto, quasi calcificato dalla calura estiva: «A fine luglio quando / da sotto le pergole di un bar di San Siro / tra cancellate e fornici si intravede / un qualche spicchio dello stadio assolato / quando trasecola il gran catino vuoto / a specchio del tempo sperperato». Mario Tobino riflette sull’effimera bellezza delle cose – cosa c’è di più fugace del tempo di una partita?: «Plaudisce / la cangiabile folla, / dice che la bellezza fugge / come all’arrotino la scintilla». Naturalmente l’Inghilterra, patria del football, schiera il grande poeta Tony Harrison, autore dello scabroso poemetto V (che sta per “Versus”, “Contro” delle partite di calcio): «OK, dimentica le aspirazioni. Guarda, lo so / che se lo United perde voi tifosi vi arrabbiate / e che con la HARP che tenete dentro vi annientate».

Torniamo sugli spalti, pardon sul volume “Il giro del mondo in 80 stadi”. Suddiviso per continenti, il libro mostra stadi moderni, ipertecnologici e campi poverissimi, in scenari che vanno dai deserti agli oceani, dai ghiacciai alle vette più alte del mondo, intrecciando le bellissime immagini a colori con storie incredibili, veri e propri mini-romanzi, come il riscatto delle donne pakistane che vogliono praticare il calcio, il baobab che troneggia in mezzo al campo dell’isola di Gorée, tristemente famosa, l’epica sfida in cima al Kilimangiaro tra il Glacier FC e il Volcano FC (finita però 0-0!) e tante altre vicende emblematiche, una più interessante dell’altra. Ci sono anche gli stadi in Ucraina e Palestina: lo stadio intitolato a Valeriy Lobanovskiy, leggenda del calcio ucraino e della Dinamo di Kiev, squadra pluri-blasonata, e lo stadio di Nablus, da sempre difficilissimo da raggiungere per i checkpoint israeliani – e ormai impossibile con il conflitto in corso.

Tra mari e monti

La rassegna degli stadi è una festa per gli occhi: c’è lo stadio galleggiante di Singapore (giustamente chiamato The Float!), quello di Traù in Croazia incastonato tra due siti Unesco, quello di Bamburgh in Inghilterra con l’imponente maniero sullo sfondo, mentre in Irlanda a Dunlewey si preferisce lo sfondo di un monte innevato, per non dire dello stadio di Tromsø in Norvegia, oltre il circolo polare artico e avvolto dall’aurora boreale, con la relativa storia delle difficoltà a partecipare a regolari campionati, per le grandi distanze dalle altre città e le condizioni climatiche proibitive.

Stadi che hanno un rapporto privilegiato con la natura (un aspetto a cui raramente si pensa): il Meshchersky di Mosca immerso nella foresta, l’Ottmar Hitzfeld Arena in Svizzera raggiungibile solo in teleferica, a oltre 1.800 metri sul mare, il campo nei pressi di Machu Picchu, sulle Ande, il vecchio Kantrida di Rijeka sulla falesia, o quello nelle isole norvegesi Lofoten, ribattezzato “il più bello del mondo” per la posizione mozzafiato tra gli isolotti dell’arcipelago – c’è un analogo in Italia, il Luigi Penzo di Venezia, situato nell’isola di Sant’Elena. E poi i campi di sabbia dell’Africa: quello a pochi metri dalle Piramidi di Giza, il campo di Ribeira Grande a Capo Verde, quello in Marocco nella valle dell’Ourika, in mezzo al nulla. E come si diceva, ogni stadio ha una storia da raccontare, e le più interessanti sono quelle più umane e toccanti: la sonora sconfitta 32-0 consumatasi al Pago Park a danno delle Samoa Americane contro l’Australia, o la sfida al contrario tra le due nazionali più deboli al mondo, Bhutan-Montserrat, disputata il 30 giugno 2002 in concomitanza con la finale mondiale “vera” (per la cronaca, vinse il Bhutan 4-0).

Infine, ci è venuto da pensare, nella rassegna non sfigurerebbe lo stadio di Como, il mitico Giuseppe Sinigaglia, dedicato al campione di canottaggio comasco, nei pressi del lago – manzonianamente “Quello stadio del lago di Como”… Lo candidiamo fin da subito per una nuova edizione del libro.

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