Affari a tutte ruote

“True detective”? Capolavoro. “House of Cards”? Ottimo e abbondante. Eppure, forte del privilegio di poter riempire questo spazio ogni giorno, vorrei approfittarne per celebrare le (nascoste) bellezze del mio programma preferito, almeno in questa stagione televisiva.

Il programma di cui sopra non propone il fascino strapazzato (e un po’ invasato) di Matthew McConaughey né il carisma perfido di Kevin Spacey, e neppure la bellezza burrosa di Michelle Monaghan o quella atletica e algida di Robin Wright. Niente di tutto ciò: l’intera trasmissione regge sulle spalle di due inglesotti “working class”: Edd China e Mike Brewer.

Il programma di cui sopra è “Affari a quattro ruote” (nell’originale: “Wheeler Dealers”) ed è rintracciabile nella serie di canali 400 della piattaforma Sky. In un’ora di immagini (gli episodi delle prime stagioni duravano però solo 30 minuti) Mike ed Edd si impegnano ad acquistare, restaurare e rivendere un’automobile in modo da ricavarne, come si esprime Mike, «a nice profit», «un buon guadagno».

Senza pretese - i due protagonisti non hanno gli atteggiamenti da rodomonte che si riscontrano nei (quasi analoghi) americani -, “Affari a quattro ruote” offre soltanto il piacere di assistere, dalla poltrona, alla semplice - ma sapiente! - industriosità umana. Pezzi di ricambio da rintracciare, motori da smontare, tergicristallo da riattivare e carburatori da sgorgare. Quale attività, se non quella di aggiustare, è altrettanto umile eppure così nobile? Ai pazienti, laboriosi e simpatici Mike e Edd affiderei ben altro che automobili. Guarda qui, Mike: c’è un buco nel bilancio statale! Puoi metterci una pezza? E tu, Edd, potresti dare un’occhiata alla nostra economia? Magari c’è da sostituire un’impresa decotta con un’altra brillante e promettente, oppure un sindacato logoro con uno più moderno ed efficace. Sono sicuro che con più gente cosi, alla fine, avremmo tutti il nostro «nice profit». Più di quanto si pensi.

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