Allenarsi perché

Certe ricerche sulla psicologia umana mi mettono di buonumore. Non perché gettano una luce positiva sugli esseri umani: al contrario, perché ne denunciano le debolezze. La debolezza rivelata, messa in contrasto con la generale prosopopea della nostra condotta, provoca l’effetto esilarante.

Prendiamo una ricerca condotta all’Università di Liverpool (avete presente? Dietro Strawberry Fields, in cima a Penny Lane, appena dopo la chiesa dove si è sposata Eleanor Rigby): lassù alcuni esperti si sono messi in testa di stabilire se certe attività come giocare a scacchi, fare esercizi mnemonici e suonare uno strumento musicale servono a uno scopo più ampio dell’attività stessa. Ovvero, se queste attività innescano ciò che si definisce “far transfer”: e cioè se impratichirsi in una attività specifica migliora anche le nostre abilità generali.

Risultato: giocare a scacchi, fare esercizi di memoria e suonare migliora la nostra abilità, rispettivamente, a giocare a scacchi, fare esercizi di memoria e suonare uno strumento. Di “far transfer” nessuna traccia. Il cervello non è dunque un muscolo che non distingue tra peso e peso, o tra attrezzo e attrezzo e, quando lavora, si irrobustisce comunque. Esso distingue tra scacchi e scala quaranta, tra clarinetto e pittura a olio. Magari i ricercatori di Liverpool ci saranno rimasti male e soffrono, delusi del risultato del loro studio. Poco male: pare che allenarsi a far ricerche psicologiche aiuti a migliorare a fare ricerche psicologiche.

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