Brutti invasori

Sono brutti, estranei e invadenti. Infatti, si affollano alle nostre porte e pretendono di entrare, esigono di poter “svernare”, come se fosse un diritto acquisito. Non promettono nulla, in cambio: anzi. Se ne restano lì, sfaticati, al calduccio (tanto paghiamo noi) e campano sulle nostre spalle. Ci dicono che non sono pericolosi, ma vatti a fidare.

Parlo, lo avrete capito, degli insetti. Per la precisione delle cimici “cinesi”, nome scientifico “halyomorpha halys”, che in queste settimane sempre più spesso ci ritroviamo tra i piedi, in casa e in giardino. In alcune regioni, Veneto e Friuli in particolare, l’invasione di queste cimici - piatte e ottuse, l’esoscheletro largo al punto che sembra pronto a ospitare un’inserzione pubblicitaria - ha raggiunto dimensioni tali da far parlare di calamità naturale. Le colture sono in pericolo e con esse una bella fetta dell’economia locale.

Qui da noi, più che altro, si vive con il timore, un poco ridicolo ma non trascurabile, di certi sgradevoli agguati. Usciamo dalla doccia e la cimice è lì, sulla piastrella, che si gode i caldi vapori dell’abluzione. Occorre affrontarla, anche se, nudi e grondanti, non siamo certo nelle condizioni migliori per dar battaglia a chicchessia, fosse anche una cimice. Ma questi insetti, le cui antenne sarebbero sensibili al calore, devono disporre anche di un qualche apparato che segnala loro i momenti di debolezza degli umani, perché è proprio allora che decidono di comparire. Sbucano da un asciugamano, s’arrampicano sul pigiama che ci attende accanto al cuscino, minacciano perfino di accomodarsi sul tavolo della cucina.

Ogni giorno mi toccano due o tre “scontri” con questi sgradevoli visitatori. Innocui per l’uomo, assicurano. Sarà. In relazione a noi, hanno comunque il valore di una metafora: fatti come siamo, la vita spesso non ha bisogno di un motivo serio, o di una vera emergenza, per infastidirci e ricordarci chi siamo.

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