Che cosa ti dice il cervello? Meno di quello che potrebbe

La scienza conferma ciò che molti filosofi avevano intuito: nessuno ha un’oggettiva esperienza del mondo. Ciò che vediamo, sentiamo, tocchiamo è un costrutto del nostro cervello. Esistono presenze e fenomeni naturali, certo, ma è il cervello che dà loro una catalogazione e soprattutto un significato.

Un suono non è un suono se non c’è un orecchio (e una coclea) a percepirlo. Soprattutto, un suono non è un suono se non c’è un cervello che lo identifica per tale. Il famoso albero che cade nella foresta non produce alcun rumore: solo uno spostamento d’aria. Al massimo si può dire che è un suono in potenza: perché diventi tale occorre che ci sia in giro un apparato uditivo.

Tutto questo è molto ben spiegato da una psicologa di notorietà internazionale, Lisa Feldman Barrett, in un articolo per bigthink.com .

«Quando diciamo che una rosa è rossa - scrive - più precisamente dovremmo affermare di percepire la lunghezza d’onda della luce che si riflette dalla rosa come rossa».

Vivremmo in un mondo ben curioso ( e prolisso) se per attribuire un colore a una pianta o a un oggetto dovessimo ogni volta passare per la fisica e citare una specifica lunghezza d’onda colta nel fenomeno elettromagnetico noto come “luce”. Anche dimenticarcene completamente, però, potrebbe essere un errore. Potremmo infatti convincerci che il mondo è in effetti qualcosa di oggettivamente stabilito e che la nostra esperienza di esso debba pertanto essere immutabile. Così non è, spiega Lisa Feldman Barrett: il mondo è un’interpretazione del cervello, tanto meno solida quando esso tende a stabilirvi un significato.

Perfino le sensazioni consegnateci da nostro corpo non hanno, in sé, un significato preordinato. Il battito accelerato del cuore può indicare emozioni opposte come paura o felicità, o semplicemente essere conseguenza di un esercizio in palestra.

«I segnali che arrivano alla superficie sensibile del corpo - spiega la psicologa -, sia che abbiano origine in esso sia vengano al di fuori di esso, diventano psicologicamente significativi, ovvero assumono un significato, solo in relazione all’attività elettrica o chimica del cervello, il quale di continuo crea un modello interno del corpo, modello intriso di riferimenti culturali». «Il cervello - aggiunge - non coglie le caratteristiche del mondo e del corpo: in realtà esso crea queste caratteristiche in modo da poterle dotare di significato».

Già, ma perché renderci coscienti di questa nuvola di segnali interconnessi creata dal nostro cervello che, per ignoranza e semplicità, ci ostiniamo a chiamare realtà? «Perché può essere utile sapere che abbiamo più responsabilità e controllo di quel che crediamo su come percepiamo le cose e su come reagiamo di conseguenza».

In altre parole, partendo da questa consapevolezza è possibile sfidare il modello interno prodotto dal cervello perché si arricchisca di nuove esperienze e produca di conseguenza nuovi significati. Non c’è che un modo per farlo; avvicinarsi a persone che agiscono e pensano in modo diverso. Sulle prime sarà un’esperienza sconcertante e sgradevole, perfino incomprensibile (un po’ come guardare Retequattro), perché è così che il cervello reagisce alla violazione del suo modello, poi si potrà arrivare a un’architettura interna della realtà più grande e inclusiva. E sul fatto che questa sia una buona cosa io e il mio cervello già siamo d’accordo.

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