Costruzione dell’ottimista

Gli ottimisti, dice un articolo che ho appena finito di leggere, hanno buone ragioni per essere ottimisti. Questo non vuol dire che gli ottimisti “hanno ragione”, ovvero che la loro visione del mondo è più “esatta”, o se volete veritiera, di quella dei “pessimisti”: vuol dire semplicemente che hanno ragione a essere ottimisti perché da tale atteggiamento traggono notevoli vantaggi.

Gli ottimisti, conferma la scienza. vivono più a lungo, sono più sani e, sempre ammesso che sia possibile misurare tale parametro con oggettiva precisione, risultano anche più felici. Partendo da questo dato, gli autori dell’articolo si sono chiesti: è possibile insegnare l’ottimismo?

Il solo porsi questa domanda comporta una precisa convinzione: ottimismo e pessimismo, in sé, non hanno senso alcuno. Non è che il mondo sia pessimista o ottimista: il mondo è, e basta. Pur chiedendomi con allarme che cosa penserebbe di tutto questo la signora Malinpeggio, insisto sul concetto: l’universo non è pervaso da un vento ottimista che ne condiziona gli eventi in un senso, piuttosto che da uno pessimista che li determina in quello contrario. Gli eventi sono circostanziali: alcuni ricadono sotto il nostro controllo, altri (la maggior parte) no. Ciò detto, per il nostro bene è meglio essere convinti che l’ottimismo prevalga. Da qui torniamo alla domanda di cui sopra: è possibile insegnare tale convinzione?

L’articolo, redatto sulla base dei risultati di un grande numero di esperimenti psicologici intesi a indurre ottimismo nei partecipanti, dice di sì: è possibile. Ci si riesce, e anche bene, ma la trasformazione non è permanente: l’ottimismo può essere, come dire?, insufflato in una persona ma vi permarrà solo per un tempo limitato. Sulla possibilità di “ottimistizzare” in via permamente un pessimista, gli psicologi si dicono, al momento, pessimisti.

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