Il cavallo barcolla

Il pensiero di Parigi ha fatto riaffiorare alla memoria un brano di un autore a me caro, Babel'. Il brano è tratto da “L'armata a cavallo”, un racconto ambientato durante la guerra tra la Russia ormai sovietica e la Polonia nel 1919:

 

“Io ti brucio, vecchia” borbottai cascando dal sonno, “brucio te e la tua vitella rubata.”

“Czekaj!” gridò la vecchia con voce acuta. Corse nell'andito e ne tornò con una brocca di latte e un pezzo di pane.

Non ne avevamo mangiato nemmeno la metà quando in cortile si udirono degli spari. Una quantità di spari. Non la smettevano più, tanto che ci vennero a noia. Bevemmo tutto il latte e Volkov uscì nel cortile per vedere che cosa succedeva.

“Ho sellato il tuo cavallo” mi disse dal finestrino, “il mo me l'hanno bucherellato che meglio non si può. I polacchi stanno piazzando le mitragliatrici a cento passi da qui.”

E così eravamo in due con un solo cavallo che ce la fece appena a portarci fuori da Sitanec. Io stavo in sella e Volkov si era sistemato dietro di me.

I convogli fuggivano e mugghiavano, affondando nel fango. Il mattino stillava su di noi come il cloroformio stilla sulla tavola operatoria.

“Siete sposato, Ljutov?” mi chiese a un tratto Volkov, seduto dietro di me.

“Mia moglie mi ha lasciato” rispondo. Mi addormentai per qualche secondo e sognai che stavo dormendo in un letto. Silenzio. Il nostro cavallo barcolla.

“Tra un paio di verste la cavalla si fermerà” fa Volkov sempre seduto dietro.

Silenzio.

“Abbiamo perso la campagna” borbotta Volkov e comincia a russare.

“Già” faccio io.

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