Il disco dei sogni

Dovete sapere (in realtà non dovete affatto, ma era un modo come un altro per incominciare) che in fatto di musica rock, pop, mettetela come volete basta che ci intendiamo su quell'area che, un tempo, era definita "leggera", ebbene dovete sapere che in questa area mi muovo con disinvoltura negli anni Sessanta, frequento abitualmente gli anni Settanta, mi oriento negli anni Ottanta: dopo di che è tutta nebbia con qualche raro faro che si incrocia di tanto durante la navigazione.

Per questa ragione, disinteressato alle vicende di Beyoncé, Katy Perry e Berry Kengé, la mia attenzione si è attestata ieri sulla riscoperta di un disco del 1964, "The dream world of Dion McGregor". Non un gran successo allora, quando pure fu pubblicato da un'etichetta importante - Decca, la stessa che rifiutò i Beatles - e non un gran successo, si prevede, neppure oggi, nonostante l'attenzione riservatagli da un popolare sito di cultura, appunto, pop.

Dion McGregor era negli anni 60 un autore di canzoni che cercava di avere successo. Un giorno, il suo partner d'arte e d'affari, Michael Barr, decise che Dion, come compositore, era meglio da addormentato che da sveglio (curioso come la stessa sensazione si provi nei confronti di molte persone). Egli infatti parlava nel sonno, descrivendo dettagli dei sogni che passavano nella sua mente: immagini fantastiche che, a sentirle, potrebbero fornire ad abili autori di fantasy spunti notevoli. Come avrete capito, a finire sul disco furono proprio i soliloqui notturni di Dion. Assicura un critico che, messo in sottofondo come musica d'ambiente, il "Dream world" ha un effetto rilassante. Io preferisco trarne una specie di morale: tutte le creazioni provengono dal nostro intimo ma, una volta fuori, vanno modellate in relazione al prossimo. Altrimenti resteranno sempre musica di sottofondo.

PS - Qualche notte fa ho sognato che non riuscivo a chiudere questa rubrica: rimaneva sotto uno spazio bianco. Che, adesso, ho riempito proprio com queste ultime righe.

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