Il libro vuoto

L’ultimo scandalo prêt-à-porter - è il caso di dirlo - riguarda il neoministro alla Cultura francese Fleur Pellerin la quale, nel corso di una trasmissione televisiva, non solo non ha saputo dire quale fosse la sua preferita tra le opere del Nobel per la Letteratura Patrick Modiano, ma ha confessato di non leggere un libro da almeno due anni: «Non ho tempo».

La dichiarazione è stata presa male soprattutto dagli scrittori che, letteralmente, si sono sentiti inutili. «È triste, mi fa pena» ha affermato Tahar Ben Jelloun, annunciando l’uscita di una sua nuova fatica: “La letteratura spiegata al mio ministro”, tiratura iniziale - come ovvio - di zero copie.

Ben poche voci si sono levate in difesa di Fleur Pellerin, anche perché da difendere non c’è molto. Più che altro, ci sarebbe da non attaccare, il che è diverso. Prima di polemizzare, infatti, bisognerebbe chiedersi se, in effetti, sono ancora i libri a rappresentare, nel mondo di oggi, l’avanguardia culturale. Questo non equivale ad affermare che leggere è un’attività obsoleta o inutile. Leggere una pagina ben scritta è ancora - e sempre sarà - un piacere ineffabile, e tanto basta a giustificare la presenza dei libri nella nostra vita.

La domanda è un’altra: sono ancora i libri i principali mattoni dell’edificio culturale costantemente rinnovato dal genere umano? Da quanto tempo un nuovo libro non ha l’impatto che hanno avuto, alla loro apparizione, testi come “Il Capitale” di Marx , “L’origine delle specie” di Darwin o, per risalire alle fonti della nostra cultura, la Bibbia e l’Iliade?

Si potrebbe sostenere che il libro è diventato semplicemente un’icona della cultura: la rappresenta ma non la incarna del tutto. Tanto è vero che mentre in Francia i politici non leggono libri, in Italia li scrivono: per raccontare al Paese le cose che non riescono a fare quando sono in carica. Diventando essi stessi testimoni e metafore di questa era del libro muto.

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