Il pianeta dei cotillon

C’è in giro, a quanto si dice, una gran voglia di cambiamento. Di rinnovamento, addirittura. Una cosa che, a dirla, suona bella e frizzante, ma il cui significato è in realtà piuttosto vago. Perfino il marito che ammazza la moglie potrebbe giustificarsi avanzando la voglia di rinnovamento; anche l’hooligan che devasta la Francia potrebbe dirsi spinto da un impellente desiderio di cambiamento: quello, appunto, di cambiare i connotati al prossimo.

Ma prendiamo pure per buona questa urgenza di novità. Diciamo che è motivata da un lato dall’esasperazione per tutto ciò che, essendo vecchio, suona ormai ingiusto, soffocante e disonesto, e dall’altro dalla speranza di ottenere qualcosa di nuovo, e dunque, nell’ottica di chi spera, di pulito, equo ed eticamente impeccabile.

Non vorrei sembrare cinico, ma secondo me l’unico sistema per avviare con qualche possibilità di successo un rinnovamento così radicale dell’umanità è quello di partire da zero. Per cambiare l’uomo non possiamo rinunciare all’uomo stesso, e francamente già questo pone un problema, ma è necessario almeno rifondarlo su basi inedite. Per esempio, trasferendolo su un nuovo pianeta. Lassù - o laggiù: nello spazio non è mai chiaro - si potrebbe ridistribuire la popolazione superando le attuali divisioni in aree ricche e depresse, potenti e disarmate, tutelate o in balìa di dittature e/o estremismi.

Si dà il caso che ci sia un pianeta tutto nuovo a disposizione. Si chiama K2-33b (sul nome in effetti si può lavorare) ed è appena stato scoperto. Per arrivarci servono 500 anni luce. Viaggio non breve, d’accordo, ma nulla che non si possa affrontare con quattro panini e due cd di Rino Gaetano.

K2-33b è un pianeta nuovo in tutti i sensi: avrebbe 5 milioni di anni e dunque a confronto della Terra praticamente è un neonato. Pianeta nuovo, giovane e dinamico: pare la pubblicità di un’agenzia interinale. Una curiosità: su K2-33b l’anno dura 5 giorni. Io investirei nell’industria dei cotillon.

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