Il vitalizio penale

Mi sembra quasi inevitabile commentare il fatto che, grazie alle recenti disposizioni del governo, reati quali le truffe agli anziani possano essere in sostanza depenalizzati. D’altra parte è facile, in questi casi, lanciarsi in pistolotti colmi di vibrante indignazione senza tener conto che la gestione della giustizia, in un Paese dalle risorse limitate, non è cosa semplice. Più che altro, è frutto di compromessi e per definizione i compromessi non possono rappresentare la perfezione.

Ciò detto, dobbiamo dunque accontentarci e sperare che sia altro, non la legge e le pene, a scoraggiare i truffatori? Magari un ritrovato sussulto di dignità, magari una condanna sociale - se non penale - così estesa e profonda da far riflettere i malviventi sulle conseguenze di dover vivere, per sempre, con un marchio di infamia sulla coscienza? Chissà: forse i tabù sociali sono più forti di quanto pensiamo e qualche anima corrotta - perché corrotti bisogna essere per sfilare la pensione a un anziano - ritroverà, all’alba di una notte manzoniana, l’orgoglio necessario per rifiutarsi di convivere con la sua stessa malvagità. Conoscendo gli uomini, non si può escludere che ciò accada ma, sempre conoscendo gli uomini, sappiamo bene che non basta.

Ecco allora la mia modesta proposta. Se il reato deve essere depenalizzato e se l’appello alla coscienza non è sufficiente a risvegliare le anime morte, sarebbe il caso di pensare a un vitalizio. Avete letto bene: un vitalizio da assegnare, in età della pensione, a ogni truffatore riconosciuto colpevole di aver preso di mira una persona anziana. Il vitalizio - una somma mensile modesta ma non trascurabile - verrebbe concessa a patto che il beneficiario non possa avere altro mezzo di sostentamento. Il pensionato-truffatore sarebbe obbligato a ritirarlo ogni 27 del mese all’ufficio postale pur sapendo che, all’uscita, ci sarà un energumeno che, assestatogli un sonoro ceffone, provvederà a rubarglielo.

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