In difesa del Gran Caldo

Posso dire due parole in difesa del Gran Caldo senza che vi indignate e prendete a scagliarmi contro ventagli e fotografie incorniciate del Cervino? So bene che la caldazza appiccica, accorcia il fiato, impone l’insonnia e rende i movimenti più semplici pesanti e biologicamente costosi, eppure trovo che sbagliamo a lamentarci e per più di un motivo.

Il primo è che il caldo, al contrario del freddo, si associa direttamente alla nostra esistenza. Il sole, la cui energia è alla base pressoché di tutto sulla Terra, è caldo, caldissimo: non risulta sia necessario sbrinarlo di tanto in tanto. Il calore, poi, è un prodotto praticamente inevitabile delle reazioni chimiche e biologiche che stanno alla base della vita. La quale, per definizione, si trascina appresso la morte. Una bella seccatura, certo, ma se mettiamo tutto in frigorifero non avremo né l’una né l’altra: solo una lampadina che, quando chiudiamo lo sportello, non sappiamo mai per certo se si spegne davvero.

E poi il Gran Caldo è un’eccezionalità atmosferica e le eccezionalità atmosferiche creano sempre un qualcosa di umanamente significativo: alla stregua di una Nevicata Storica o di una Nebbia Notturna. Avvenimenti che ci rimettono in contatto con la natura, con il mondo fatto di atomi e batteri al quale apparteniamo e dal quale ci sottraiamo per cercare illusorio rifugio in una bolla di Aria (psicologicamente) Condizionata. E poi ci devono essere altre ragioni per apprezzare la caldazza. Ma adesso, ammetterete, fa troppo caldo per pensarci.

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