Indignati a comando

Per quanto pochi siate, voi lettori di questa modesta rubrica dovreste considerarvi fortunati. Non perché qui vi si offrano chissà quali opportunità di lettura, ma perché, se non altro, la vostra rabbia non viene alimentata. Potreste trovarvi in disaccordo, anche profondo, con quello che scrivo, ma difficilmente, per il tono che uso e il contesto in cui colloco i miei ragionamenti, tale disaccordo sfocerà in rabbia.

Altrettanto non si può dire di articoli, post e affini che troviamo nei social network. Come fa rilevare la neuroscienziata Molly Crockett, gli algoritmi applicati dai social tendono a favorire, e dunque a portare “a galla”, post che inducono all’indignazione, di fatto alimentando forzatamente una sorta di circuito della rabbia collettiva. Poco importa se l’indignazione, nei casi specifici, è ben riposta o no: il punto è che essa è artificialmente alimentata. Altri eventi “scandalosi”, se riportati “solo” da tv e giornali, non arrivano allo stesso livello di impatto: si crea così una sorta di squilibrio, in cui mentre qualcuno viene fatto a pezzi su Facebook qualcun altro la fa franca nel mondo reale. E comunque va a farsi benedire anche l’ultima illusione rimastaci: quella che fa dell’indignazione un sentimento spontaneo e democratico, magari un po’ passionale ma umano e genuino. Niente affatto: è frutto di calcolo e manipolazione. E adesso indignatevi pure, per questo, ma prima accertatevi di essere su Facebook.

© RIPRODUZIONE RISERVATA