La gioia di Mike

Quando una squadra torna a vincere il campionato dopo 108 anni, la notizia non appartiene all’attualità e neppure alla Storia: viene assegnata dritta alla leggenda. È accaduto nel baseball: i “Cubs” di Chicago hanno vinto il campionato nazionale (che gli americani considerano però “mondiale”) per la prima volta dal 1908. La seccante caratteristica umana della mortalità ha impedito ai giornali di rintracciare testimoni viventi del lontano evento, così si sono accontentati della gioia dell’attore Bill Murray, da sempre sostenitore dei Cubs. Più defilata, ma non per questo meno sentita, la soddisfazione del grande comico Bob Newhart, 87 anni , e dunque un’attesa perfino più lunga da vantare.

Né Murray né Newhart, tuttavia, avrebbero potuto paragonare la loro fede nei Cubs a quella esibita per tutta la vita da Mike Royko. Spiace che la figura di questo giornalista e scrittore non sia più conosciuta in Italia: i suoi meriti letterari e giornalistici lo mettono sullo stesso piano, o quasi, di Mark Twain, Truman Capote e Jimmy Breslin (del quale era amico-rivale: l’uno aspro cantore di Chicago, l’altro - tutt’ora vivente - ruvida e ironica voce di New York).

Royko è invece morto nel 1997, consumato da alcol e sigarette, oltre che dalla vitaccia del reporter il cui cuore batte all’unisono con la città alla quale appartiene, professionalmente e sentimentalmente. Anche da inviato seppe scrivere pagine memorabili, ma è nei quadretti dedicati a Chicago (e ai frustranti Cubs) che diede il meglio di sé. Le raccolte dei suoi articoli restituiscono una voce esilarante, polemica, brillante. Un suo libro-inchiesta, “Boss” del 1971, mise a nudo la macchina del potere che sosteneva l’onnipotente sindaco della città Richard Daley.

Sarebbe bello, oggi, leggere un suo pezzo sulla vittoria dei Cubs. A patto che lo scrivesse come faceva allora: con la macchina per scrivere sul bancone di un bar, senza filtro, politicamente scorretto, irresistibile e vero. Per la gioia dei vecchi lettori e lo sgomento di quelli nuovi, ai quali l’arte di Royko - un giornalismo scorbutico ma onesto - è oggi del tutto sconosciuta.

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