La mutazione della carne in vaso Plumtree

Nel capitolo dell’“Ulisse” di James Joyce al quale, per convenzione, si fa riferimento con il titolo “Lotus eaters” (o “Lotofagi”), all’eroe, il signor Leopold Bloom, capita di leggere un messaggio pubblicitario stampato nel “Freeman’s Journal”. Questo: “What is home without / Plumtree’s Potted Meat? / Incomplete. / With it an abode of bliss”.

Gianni Celati, recentemente scomparso, nella sua traduzione dell’opera lo rende così (ed è questo un modo umile ma sentito per ricordarlo): “Cos’è una casa senza / La carne in scatola Plumtree? / Ben povera credenza / Anche se fosse quella del re”. La traduzione non è letterale, ma traspone la rima (imperfetta) “Meat”/ “Incomplete” proponendo quella tra “senza” e “credenza”. Più in generale, Celati riesce nell’intento di rendere l’approssimazione e la pochezza del messaggio originale che, infatti, suscita il disprezzo di Bloom, agente pubblicitario per professione.

Messaggio sciatto e scontato, ma non per questo privo di forza: più e più volte nel corso della giornata, Bloom si sorprenderà a ripensarlo e, ogni volta, lo percepirà in modo diverso: a tratti ne ricorderà solo alcune parti, in altre occasioni lo ritroverà distorto, ingigantito, ripiegato su se stesso. A caccia di interpretazioni, gli studiosi di Joyce hanno individuato nella “carne in vaso Plumtree” (questa la traduzione letterale) almeno due simboli lampanti: la carne così imprigionata si presta a rappresentare sia la morte del corpo e il suo successivo seppellimento (il messaggio è piazzato sotto gli annunci funebri) sia l’attività sessuale. Inoltre, la “casa da re” è quella che Bloom non può avere (la moglie Molly lo tradisce - anzi lo tradirà proprio quel giorno -, il figlio maschio Rudy è morto giovanissimo). Oltre ai simboli, la carne Plumtree così mal pubblicizzata, acuisce la frustrazione professionale di Bloom: i suoi annunci sono migliori, più raffinati, ma egli fatica a imporli.

Il ricorrere del marchio Plumtree nella coscienza di Bloom è una delle tante trovate geniali del romanzo: ci ricorda quanto sensibile possa essere la nostra psiche agli stimoli esterni. Per noi, tutto ha un significato, anche quando in apparenza non ce l’ha.

Così era nel 1922, quando Joyce pubblicò il suo libro, e così è oggi, quando ai nostri occhi si presenta quotidianamente un’incessante mutazione della carne Plumtree. Accade quando scorriamo la prima pagina di un sito, per esempio, dove in progressione si mescolano elementi drammatici e risvolti comici, dove troviamo oracoli sanitari accanto a piazzisti sessuali, imbonitori politici al fianco di macchine per tagliare il salame, fertilizzanti e mostre su Caravaggio e Artemisia, cure per “pancia gonfia e stitichezza”, l’oroscopo per tutto l’anno, consigli contro il “fegato grasso” e suggerimenti di lettura da parte di Fedez.

Joyce seppe leggere quel che la carne Plumtree faceva echeggiare nella mente del suo eroe; troppo sarebbe chiedergli di leggere anche nelle nostre. Forse il buon Bloom qualche speranza di difendersi dalla carne in vaso ce l’aveva ancora; oggi non ci resta invece che un’ammissione: il simbolo era accurato, noi siamo nient’altro che carne Plumtree.

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