La razione di K

Dice il giornale che un turista russo è stato denunciato per aver tracciato la lettera K su un muro del Colosseo. Denuncia doppiamente giusta: punisce il vandalismo e l'ignoranza. I latini, infatti, non usavano la lettera K. Giorni fa il giornale diceva anche che i "writer" (uso questo termine in mancanza di meglio, ma è controverso e corro il rischio che qualcuno si offenda: se accade, prego di desistere perché la vita è troppo breve) avevano imbrattato il portone del Duomo di Milano.

Resto inorridito ma in fondo anche ammirato davanti a gesti del genere. L'ammirazione, se così la si può chiamare, deriva dalla mia incapacità di inoltrarmi nei meandri di una mente priva del tabù necessario a innescare l'istintivo rispetto per ciò che è antico. Ma "antico" è un aggettivo che non dice tutto: il Colosseo e il Duomo di Milano sono monumenti che in qualche modo l'umanità ha deciso di adottare, di farne un simbolo del segno culturale lasciato dalla nostra specie sul mondo, perfino al di là del giudizio personale sul loro valore. Ancora di più: mi sorprende il buio fitto che riscontro nella coscienza di chi decide di fare un viaggio in Italia da un Paese lontano come la Russia, sceglie di visitare il Colosseo, e in conseguenza di tale sforzo fisico ed economico, procede con un vandalismo. Si dirà: forse il turista pensava di consegnarsi alla Storia, aggiungendo un poco di se stesso a un monumento tanto celebre. La mia K, avrà creduto, resterà visibile per sempre in un luogo visitato ogni anno da milioni di persone. Sarà una K celebre, al confronto delle tante K anonime che si trovano sui muri di Mosca, sarà una K storica.

Spiace disilluderlo: la sua K non passerà alla Storia. È entrata invece nella Cronaca, che è una strada diversa, parallela, ma molto più breve. Il solo fatto di entrarvi coincide per molti con la fine di ogni speranza di entrare nella Storia, la quale ammette eroi, fuorilegge, santi, condottieri, macellai e perfino mostri. Ma non idioti.

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