La veglia e la ferita

Capisco che molti trovino insostenibile, in questi giorni, seguire i notiziari in tv. Generano ansia, si dice: inducono pensieri terribili, paure, addirittura panico. Capisco, ripeto, ma non condivido: al contrario, trovo le maratone tv sulla tragedia di Parigi intimamente confortanti, tanto è vero che lascio la televisione accesa tutto il giorno. Naturalmente, c'è il trucco: è necessario non seguire per davvero i notiziari. Basta lasciarli in sottofondo, a volume basso, come intingolo che debba sobbollire: essi assumeranno presto il tono suadente e calmante di una litania, di un canto laico.

Mi riferisco ai notiziari veri e propri, quelli che, agenzia dopo agenzia, video su YouTube dopo video su YouTube e collegamento dopo collegamento, cercano di incanalare nuove informazioni o ricostruire con più precisione l'accaduto. L'effetto calmante non funziona se ci si sintonizza sui talk show: in questo caso, è altissimo il rischio di venir raggiunti all'orecchio da una bischerata e di bischerate, grazie lo stesso, in questo periodo non ne abbiamo bisogno.

Ma perché l'effetto rassicurante di cui parlavo? Semplice: senza accorgercene, ma con grande devozione civile, stiamo tutti celebrando una grande – globale, direi – veglia funebre. Credetemi: non c'è alcun intento ironico in questa constatazione. Elaboriamo questo grande lutto collettivo come sappiamo fare, ovvero nello stesso modo in cui abbiamo elaborato i lutti privati che, purtroppo, ci hanno colpito. La tv – ma anche Internet – svolge questo ruolo di catalizzatore: unisce, crea un'impressione (stavo per dire: un'illusione, ma che differenza fa?) di partecipazione, solidarietà e fortezza. Come già per le veglie funebri e per i lutti, il problema affiorerà quando rimarremo soli, quando la paura da straordinaria diventerà quotidiana: allora e solo allora capiremo con esattezza quanto abbiamo perduto e quanto sarà possibile guarire da questa ferita della Storia.

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