L’assessore ritrovato

Dunque. Stando a quanto leggo, oggi - 4 aprile 2014 - le Province non dovrebbero più esistere. Difficile avere un riscontro concreto: la città, le strade e le case sono le stesse di sempre ma, anche ieri, non è che la presenza delle Province fosse più di tanto evidente. Lo era, credo, nei gangli burocratici, nell’infrastruttura istituzionale della nazione e se ne trovava traccia più che concreta nei conti correnti di assessori e consiglieri. Non so valutare l’impatto della sparizione delle Province nelle vite quotidiane di tutti noi. Da un punto di vista culturale e psicologico, non ci sarà differenza: un livornese resterà un livornese e un pisano un pisano. Non è perché si è levato il sipario del confine che nascerà un’inedita commistione di opposti temperamenti tirrenici.

L’aspetto che più sorprende di questa annunciata sparizione delle Province - la Camera ha dato ieri il via libera definitivo al ddl Delrio - è che, nell’apprendere la novità, la maggior parte di noi avrà reagito chiedendosi: «Sarà vero?». Qualcuno - confesso di appartenere a questa cerchia - si sarà anche domandato: «Ma non le avevano già abolite?»

Le riforme di cui tanto si parla non sono più un percorso rettilineo, una strada ben tracciata dove andiamo procedendo con più o meno speditezza e sulla quale, grazie a misurazioni relativamente semplici, possiamo in ogni momento sapere a che punto siamo arrivati. No, tanto nella realtà quanto nella percezione dell’opinione pubblica le riforme sono come il delta di un grande fiume: un reticolo fangoso e instabile di canali. Credo che la faccenda turbi anche i riformatori più accaniti: «Ma di qui siamo già passati?» si domanderanno, «Quella assomiglia alla provincia di Macerata: ma non l’avevamo già abolita?».

Presto o tardi interverrà il Wwf. Leggeremo: «Scoperto nei boschi della Sila un assessore fulvo di Cosenza, specie che si credeva estinta.Invece, ha dimostrato una straordinaria capacità di riprodursi».

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