Le voci sporche

Abbassi la voce, per favore. Oppure la alzi: dipende da cosa vuole ottenere. Nell’indagare come un instancabile esercito di ometti... instancabili, alcuni studiosi della psicologia umana hanno constatato che la voce, ovvero l’intonazione della medesima, svolge un ruolo niente affatto secondario nelle relazioni sociali.

In particolare, è emerso in tutta la sua evidenza un fatto che, per istinto, conosciamo bene ma che, forse per convenienza, trascuriamo di razionalizzare: la voce, la nostra voce, non è un assoluto ma è sempre relativa a chi parliamo. Anch’essa sembra dunque soggetta alle modificazioni dello spazio-tempo einsteniano, solo che a intervenire su di essa non è la gravità e neppure la velocità, ma l’autorità.

In parole povere: la nostra voce cambia a seconda dello “status” sociale dell’interlocutore. Con il “capo” useremo un certo tono (che sta a intendere un certo volume e una certa modulazione) oltre che un linguaggio specifico. Con i figli il tono sarà diverso e con chi, a torto o ragione, consideriamo “inferiori” a noi nella scala sociale la voce avrà una terza impostazione. A questo punto si potrebbe dire che il vero signore e la vera signora sono coloro che non cambiano mai voce, parlino con un re o con un cameriere. Ma di signori che ne sono pochi: dunque, viviamo immersi in una polifonia che il più delle volte trasmette il nostro desiderio di imporci o di compiacere. È questo il coro, se volete, delle voci sporche.

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