L'oasi che non c'è

Un sito redatto dai soliti bene informati ha pubblicato una notizia che consente al mondo di tirare un sospiro di sollievo. La notizia è questa: Robin Williams si sarebbe suicidato perché in preda ad allucinazioni causate da una malattia chiamata Demenza da corpi di Lewy. Dov'è la buona notizia? direte voi. Semplice: una patologia finora estranea alle nostre conoscenze di medicina fa il suo ingresso in uno scenario inquietante e confuso, illuminandolo. Ecco spiegato perché Williams si è ucciso: aveva una malattia rara che lo ha spinto a compiere un gesto che, altrimenti, non avrebbe neppure considerato. Quanto a noi, corriamo meno rischi di finire nella stessa trappola: ci basta stare lontani, se possibile, dalla Demenza di Lewy e dai suoi “corpi”, qualunque cosa essi siano.

Quanto sciocco eppure inevitabile è questo meccanismo di auto-rassicurazione! Se qualcuno muore d'infarto andiamo a cercare nella sua storia comportamenti o difetti congeniti che avrebbero dovuto metterlo sull'avviso; se qualcuno altrimenti si ammala isoliamo il suo “caso” in un contesto di abitudini e destini genetici che ci allontanano da esso. Coltiviamo un'illusione di immortalità nella specificità dei malanni altrui.

Nel caso di Williams, facciamo anche di peggio. Ci sembra da escludere che un uomo ricco e famoso possa coltivare in sé i semi della più grave depressione. Perché coltiveremmo sogni di ricchezza e celebrità se queste cose non dispensassero dalla tristezza? Qualcos'altro deve essere intervenuto a offuscare il perfetto orizzonte di Williams. Niente di meglio che una malattia dotata di un rigoroso e severissimo nome scientifico. Non è stato Williams a uccidere Williams, ma un agente esterno, un intruso. Noi possiamo continuare a coltivare tutte le nostre illusioni di eternità, di perfetta salute mentale e fisica e, in ultima analisi, possiamo indulgere nel sogno di approdare a un'oasi di assoluta felicità. Cattiva notizia: l'oasi non esiste. Buona notizia: nel viaggio non siamo soli.

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