Luce e buio

Poiché davanti ai tempietto di Erawan, a Bangkok, ci sono passato non più di due mesi fa, respirando, non per la prima volta, l'aria caldissima e inquinata della capitale thailandese in uno degli incroci più trafficati di tutta l'Asia, sovrastato da giganteschi centri commerciali che proiettano le loro luci sull'asfalto, sui vetri dei grattacieli e sui binari sopraelevati della Bts, mi sembra che il massacro di lunedì debba toccarmi più da vicino di altri ammazzamenti che avvengono quotidianamente in luoghi a me sconosciuti.

Un'illusione, naturalmente, dovuta alla tendenza a mettere noi stessi, ovvero le nostre povere, singole persone, al centro del mondo. Ben venga l'illusione, però, se mi consente di riflettere sul criminale egoismo di chi, piazzando una bomba in un angolo riservato alla spiritualità, o se si vuole alla semplice invocazione della sorte benigna, in un ritaglio di pace in mezzo a un gigantesco intrico di cemento votato al commercio e agli affari, ha creduto di farsi grande e magari di lasciare un segno nella storia uccidendo gente in motorino, donne e uomini in preghiera davanti a una statuetta hindu, turisti, passanti in mille pensieri impegnati. Deve poter credere, l'omicida, di avere una parte significativa in un disegno perfino nobile, altrimenti non si spiegherebbe come, per quanto psicopatico, possa accettare l'idea che il male dispensato a caso possa essere una scelta ragionevole, addirittura "giusta". Bisognerà trovi qualcuno disposto a ripetergli che insanguinare le strade intorno al piccolo Phra Phrom è stata cosa buona e giusta, un passaggio inevitabile nel processo di migliorare, trasformare, elevare, o forse solo vendicare, il mondo.

Una scena rivoltante, ma dallo spettacolo mostruoso e patetico del tradimento di una vita, noi possiamo trarre una verità. Questa: per quanto sia doloroso e ingiusto, è sempre meglio essere vittime che carnefici. Le prime hanno hanno la luce della dignità, i secondi sprofondano nel buio.

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