L’uno e l’altra

Rifuggo, di solito, dai grandi gesti sentimentali e retorici. Da quelle scenette il cui simbolismo è talmente sfacciato che, se le vedessimo in un film, daremmo al regista del dilettante e agli attori degli incapaci.

Mettete insieme una banda, due bandiere, un paio di politici in cravatta nonché, come diceva Totò, vari signori in borghese con il cappello in divisa e il gioco è fatto: i petti si gonfieranno d’orgoglio e, a comando, qualche lacrimuccia scorrerà sulle guance. Col passar dei decenni, poi, le coreografie della retorica si son fatte sempre più complesse e scaltre. C’è stata la grande stagione delle Frecce Tricolori che volteggiavano su cerimonie, partite, Gran premi, visite di Stato e Festivalbar. Oggi è intervenuta invece l’era delle Grandi Riconciliazioni. La prima, cronologicamente parlando, fu tra Jerry Lewis e Dean Martin, orchestrata da Frank Sinatra; oggi attendiamo quella, sempre meno impossibile, tra Beep Beep e Willy il Coyote.

Mi rendo conto solo adesso che, per approdare dove vorrei approdare, avrei dovuto impostare il discorso in modo molto più serio. Non mi pento del tutto però, perché la retorica di certi teatrini mi è sempre stata sull’anima. Detto ciò, capirete di conseguenza che nel proclamare un’eccezione le dò particolare importanza e la carico di valori assoluti. L’eccezione di cui sopra è l’abbraccio, ieri, tra il presidente degli Stati Uniti Obama e un sopravvissuto al bombardamento atomico di Hiroshima.

Una scena studiata nel dettaglio, al culmine di un cerimoniale passato al setaccio fine della diplomazia e messa in scena davanti a fotografi accreditati e selezionati. Un momento di coreografata riappacificazione che meno spontaneo non avrebbe potuto essere. Eppure - almeno per quel che mi riguarda - il messaggio è passato: perfino la Storia, così ottusa e irrimediabile nelle sue tempeste, è destinata a redimersi e a guarire. Occorrono solo tempo e buona volontà. Sta a noi fornire l’uno e l’altra.

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