Mai da solo

Fino al 1997 Tinna Geula Phillips conosceva sei lingue. Dopo, nessuna. Neppure poteva richiamare all'uso l'inglese, la sua lingua madre, ovvero quella che non immaginiamo "imparata" ma consideriamo piuttosto parte di noi, succhiata con il latte materno, impressa come un marchio di distinzione culturale nelle volute cerebrali. Non è così: anche la lingua madre si può perdere. Con ciò, credo di aver appena formato la frase più triste che abbia mai scritto.

Nel 1997 Tinna venne colpita da un ictus. A questo intervento va ascritta la sua improvvisa incapacità di comunicare: soltanto di recente, dopo tanta fatica, sta recuperando la capacità di "gestire" almeno in forma elementare quella che dovrebbe essere la "sua" lingua. Un percorso lungo e terribile perché Tinna è partita da un posto terribile. Nel 1997 l'ictus non le tolse infatti soltanto la capacità di comunicare con gli altri: la malattia spense anche il suo dialogo interiore.

Per noi è difficile concepire il silenzio che calò nella sua mente perché è difficile immaginare noi stessi senza quella familiare "voce" interiore che per tutta la vita ci rappresenta, identifica la nostra individualità e si afferma come il confidente più intimo di cui disponiamo, quello che consente di dare un nome alle esperienze, di relativizzarle e di concepire le azioni necessarie a rispondere agli eventi. Spenta quella voce, Tinna deve essere diventata tutto e nulla: le sarà stato impossibile definire la differenza tra se stessa e gli oggetti e le persone che la circondavano. Qualcosa di simile a questo insegnano, credo, i maestri della meditazione: a svuotare la mente, dicono. Forse dovrebbero limitarsi a volerla alleggerire perché lo spegnimento della mente, accompagnato dalla sussistenza della coscienza, deve essere una delle condizioni più pietose nelle quali è possibile cadere.

Ciò detto, concludo ringraziando la mia voce interiore: dice spesso stupidaggini, quasi sempre mi costringe a ripeterle, a volte mi fa paura, ma almeno non mi lascia mai solo. Senza me stesso, dopo tutto, finirei per annoiarmi.

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