Parole in vacanza

Se dalla lettura dei giornali degli ultimi giorni avete ricavato l’impalpabile sensazione che non tutto vada per il meglio, ebbene, potreste essere nel giusto. Mi è però d’obbligo ricordarvi che non tutto va male: qualcosa va perfino peggio. Non ci rimangono, in questo scenario sconfortante, che i giovani: su di essi dobbiamo basare le speranze per un futuro migliore.

Purtroppo, a guardarli, non sempre i giovani corrispondono alle nostre aspettative. Se ne incontrano, per strada e sui mezzi pubblici, esemplari francamente sconcertanti ma, nell’osservarli con sussiego, dobbiamo ricordare che siamo stati giovani anche noi e che la giovinezza stessa non di rado ci ha indotto ad attività criminali come indossare jeans imbottiti o ascoltare “Tarzan boy” di Baltimora. Cerchiamo di essere indulgenti, dunque, anche perché i giovani potrebbero beneficiare a breve di sistemi d’insegnamento molto sviluppati. Un esempio su tutti: una ricerca condotta in Germania ha dimostrato che i ragazzi afferrano molto meglio le lezioni scolastiche se viene chiesto loro di disegnarle. Annett Schmeck e il suo team di ricercatori ha proposto a 48 ragazzi (età media 14 anni) la lettura di un brano di biologia dedicato all’influenza, suddiviso in sette paragrafi. Compito degli studenti, realizzare un disegno per paragrafo illustrandone, letteralmente, il contenuto. La conclusione dei ricercatori è che il «disegno è in potenza una strategia molto utile per incrementare il grado di apprendimento».

In qualità di giornalista che si guadagna da vivere con la parola scritta dovrei temere uno slittamento culturale che favorisse il disegno. In realtà, lo auspico. Oltre ad avvicinare i ragazzi a un’attività creativa profonda come nessuna e soddisfacente come poche, il passaggio di almeno parte del fardello comunicativo al disegno garantirebbe una tregua alla parola. Che oggi, in tutte le lingue, è stropicciata, maltrattata, usata senza rispetto e senza cura. Una meritata vacanza le farebbe senz’altro bene.

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