Passate il digestivo

Ormai tutti lo sanno perché c'è stata una discreta insistenza nel farlo sapere: questa sera su Sky incomincia la quarta edizione italiana di Masterchef. Nessun problema particolare, se non fosse che, personalmente, mi trovo sul ciglio di una decisione. Accomodarmi in poltrona, come faccio da tre anni a questa parte, e assistere senza rimorsi alla gara culinaria, con le sue eliminazioni, le rincorse, le scottature, le tritature, le infarinature e le sfuriate “Full pentol jacket” degli chef, oppure lasciar emergere quella parte di me che, nel format, vede qualche fallacia se non proprio qualche stortura?

Tanto per incominciare Masterchef promuove una forma di meritocrazia che a ben guardare non è proprio tale. La scure che cala sul concorrente reo di aver sbagliato una prova non restituisce l'immagine attendibile di un sistema di meriti pur severo e inappellabile. Non è che, nella vita, sbagliare a friggere un uovo equivalga a essere relegati ai piani bassi della piramide sociale: Masterchef si limita a ricoprire con una parvenza di valori quello che è un meccanismo in tutto e per tutto devoto allo spettacolo. Inoltre, il concetto che uno è vincitore e tutti gli altri sconfitti - “di Masterchef ce n'è uno” continuano a ripetere i giudici-chef – non è precisamente un modello applicabile su larga scala. E' invece tipico dello star system: migliaia e migliaia ci provano, uno ha successo, ma il compenso per chi ce la fa è talmente alto da annebbiare ogni considerazione logica sulle scarse possibilità che ogni singolo concorrente ha di emergere. In questo, Masterchef – così come X-Factor e altri format – assomiglia più al Superenalotto che a un'attendibile selezione di talenti.

Detto ciò, il programma è divertente: non fosse altro per i ritagli di umanità che lascia intravedere. Facce in cui è possiamo ritrovarci, sentimenti che, una volta o l'altra nella vita, pure a noi sono stati imposti. Temo dunque che, sfogate qui le mie riserve, guarderò Masterchef senza sensi di colpa. Al massimo, terrò a portata di mano un digestivo.

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