Piccoli giganti

Ora che l'espressione "fatti alternativi" è stata ufficialmente accettata come sinonimo di "menzogna", sarà opportuno spingere le nostre osservazioni sul dibattito sociale - e sul tipo di lingua che si usa per convogliarlo - fino a una conclusione che appare inevitabile. Questa: non è per niente vero che oggi si litighi molto e su tutto. Litigare e discutere sono infatti azioni che preluderebbero a una conclusione, a una sintesi o anche soltanto a un compromesso e a una tregua. Sembra invece che sia in atto una sorta di generalizzata simulazione del confronto in cui le parti, per assurdo, si accontentano di produrre l'illusione di aver ragione. Una "ragione" per nulla oggettiva, attenzione, ma vendibile, un prodotto di marketing. Hai mentito spudoratamente?, accusa uno. No, ho proposto "fatti alternativi", risponde l'altro. Ed ecco che il paradossale equilibrio è ristabilito.

Non giova coltivare la nostalgia del passato e la valutazione oggi dei fatti di ieri è sempre distorta dal sentimento. Eppure, siamo ormai vicinissimi al poter dire, con oggettività, che i protagonisti del passato erano infinitamente migliori di quelli del presente.

Prendiamo la seconda metà del secolo scorso: un palcoscenico su cui, in tutti i campi, si muovevano dei giganti. E nessuno di loro era sostenuto da team di esperti, nessuno ricorreva ai sondaggi per sapere cosa fare o si affidava a un consulente per decidere il prossimo passo in carriera.

Come ha fatto notare di recente il comico Jerry Seinfeld, Cassius Clay non consultò alcuna agenzia prima di cambiar nome in Muhammad Ali. E neppure calcolò con un team di esperti le conseguenze personali e professionali del rifiuto a combattere in Vietnam. Decise e basta, pagando il prezzo umano delle sue scelte ma lasciando ai posteri qualcosa su cui riflettere. I piccoli "giganti" di oggi lasceranno solo le ricevute per il pagamento dei servizi di Kellyanne Conway. Sempre che la signora non si faccia pagare in nero.

© RIPRODUZIONE RISERVATA