Più sincero?

Il lutto per la scomparsa di una personalità importante non capita solo da noi. In questi giorni, per esempio, la Thailandia sta piangendo la morte del suo re, Bhumibol Adulyadej, spirato a 88 anni dopo sette decenni di regno ininterrotto.

Se pensate che per Dario Fo si siano spese tante parole, occupate tante ore televisive e disseminati per il web tanti messaggi di cordoglio (e di critica), non avete osservato quanto sta accadendo in quello che una volta era conosciuto come il regno del Siam. La morte del re (titolo e nome completo: Phra Bat Somdet Phra Paraminthra Maha Bhumibol Adulyadej Mahitalathibet Ramathibodi Chakkrinaruebodin Sayamminthrathirat Borommanatthabophit - la sua carta d’identità misurava un metro per due) ha gettato il Paese in uno sconforto che si esprime con mezzi anche melodrammatici: la tv trasmette in bianco e nero e in bianco e nero si presentano i siti Internet. Da giorni, inoltre, centinaia di migliaia di cittadini si affollano lungo le strade della capitale Bangkok, uniti dal desiderio di piangere insieme.

Visto alle nostre latitudini, e paragonato al cordoglio che si esprime qui per la scomparsa di una pubblica personalità, il lutto thailandese appare smodato e forse retrogrado. La gente piange un padre collettivo e quello che sarebbe normalmente un lutto personale si trasporta sul piano comune: tutti piangono il padre di tutti.

Eppure la Thailandia non è un Paese che manca di divisioni. Politicamente, anzi, è un incubo, tanto che a scongiurare il rischio di una guerra civile è intervenuta nel 2014 la soluzione più drastica immaginabile: un golpe dei militari. Il re, però, era un’altra cosa e la sua morte è accolta con lacrime di bimbo.

Proprio così: a confronto col nostro compianto, così cerebrale, sfaccettato, fatto di distinguo e di movimenti laterali, quello thailandese appare infantile. Viene dunque il sospetto che sia anche più sincero.

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