Poveri noi, poveri loro, poveri tutti: e adesso?

"Ha trovato l’America" si diceva, un tempo, di chi si era scavato una confortevole nicchia sociale sfruttando qualche aureo filone produttivo. America equivaleva dunque a opportunità e opportunità equivaleva a raggiunto benessere. Bastava afferrare la mano tesa e lasciarsi sollevare fino al riscatto, alla meritata sicurezza economica, alla felicità del superfluo. In nessun Paese ci si imbatteva in mani tese quanto in America.

Tutto questo riguarda il passato: chi oggi cerca l’America faticherà molto di più a trovarla. Quante mani tese saranno rimaste in una nazione che, non da oggi per la verità, si scopre a fare i conti con allarmanti livelli di povertà? A livello nazionale, i cittadini americani che vivono sotto la soglia ufficiale di indigenza sono circa il 10,5%. Un dato medio che a malapena nasconde la realtà degli Stati con i problemi sociali più seri: in particolare la Louisiana e il Mississippi dove le percentuali di cui sopra toccano rispettivamente il 19 e il 19,6%.

Prima di lanciarci in sussiegose filippiche sul fallimento del modello americano, consideriamo che altri importanti Paesi non fanno certo meglio. In Russia, come annunciato dall’agenzia governativa Tass, la percentuale della popolazione che vive sotto il livello di povertà passerà nel 2021 dal 12,1% all’11,4%: un miglioramento che però non nasconde i timori di un ritorno alla recessione nel 2022, così come predetto dalla World Bank e ammesso dalla stessa Tass.

Come riportato dall’inchiesta condotta da Our World in Data, la percentuale globale dell’“estrema povertà” (un parametro che per convenzione descrive chi vive con meno di 1,9 dollari al giorno) è scesa negli ultimi anni in virtù della crescita economica dei Paesi orientali, concentrando nel continente africano le situazioni più gravi e lasciando qua e là per il globo aree depresse comunque preoccupanti.

Questo anche perché il parametro convenzionale si limita a misurare la povertà sulla base dei consumi resi possibili dal reddito, ma una definizione più elastica potrebbe (e dovrebbe) includere anche riscontri circa le possibilità di accesso all’educazione, alla sanità e a un posto di lavoro che non sia, di fatto, puro e semplice sfruttamento. Se adottiamo questa definizione aggiornata, allora ci accorgiamo che per quanti aggiustamenti statistici possiamo fare, perfino i Paesi che vantano invidiabili tassi di crescita sono ancora ben lontani da aver risolto il problema.

Al contrario, democrazie occidentali e oligarchie (o vere e proprie dittature) orientali si dimostrano ugualmente impotenti e, non di rado, chiamano i successi economici delle élite a testimonianza della validità del loro modello quando, in tutta evidenza, è la mancanza di larghe opportunità dirette alla formazione di una “classe media” che possa sostenere l’economia e assicurare pace sociale a tradirne il fallimento. Senza più ideologie a darci (illusorie?) ricette di pronta e definitiva soluzione, abbiamo un bel problema da affrontare come umanità tutta. Per il momento siamo diventati bravissimi a lamentarci, a prendercela con una classe politica che sembra messa lì apposta per farsi spernacchiare (e per fortuna che, noi, almeno questo possiamo ancora farlo): prima o poi, però, sarà il caso di farsi venire qualche idea.

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