Poveri Zelig

Il presenzialismo, tra l’arrogante e l’infantile (caratteristiche che spesso vanno in coppia), del presidente della Lazio Claudio Lotito, autore di una sorta di “invasione di campo” nella Nazionale di calcio, ha mobilitato i buontemponi di Internet. È facile raggiungere in Rete una lunga teoria di immagini elaborate al computer in cui Lotito, infagottato nella casacca azzurra con la scritta “Italia” sul petto, compare nelle circostanze - storiche, cinematografiche e perfino mitologiche - più diverse: accanto a Rocky prima di un match, nei pressi dell’auto scoperta del presidente Kennedy a Dallas, riflesso nella visiera di un astronauta sulla Luna, sul palco durante un discorso di Martin Luther King e, a testimonianza che pur di apparire non si va tanto per il sottile e la coerenza diventa un optional, anche spalla a spalla con Benito Mussolini sul balcone di piazza Venezia.

Tra i santi sarcasmi, le infinite canagliate, l’umorismo di bassa lega e le volgarità generate ogni giorno da quella Rete che, spesso e volentieri, alimentiamo con gli scarti di noi stessi, questa forma di ironia fotografica mi sembra la più divertente e azzeccata. Ha tutto l’ambivalente sapore della migliore ironia: levità, sorriso e, nello stesso tempo, coraggio e fermezza nell’affondare il coltello nella piaga del paradosso. In più, Lotito, con la sua retorica da tribuno de noantri, la mascella volitiva e lo sguardo fisso sotto le lenti al quarzo, rappresenta molto bene ( possiede un’ostinazione marmorea vicina a quella del miglior Sordi ) l’inclinazione italica all’intrufolarsi, all’esserci, al farsi passare per qualcosa che non si è ma tanto basta a fare impressione sulla portinaia.

Dovremmo studiare un software che, ogni mattina, per conto suo, ci fornisca al risveglio un fotomontaggio in cui appaiamo in una delle scene di cui sopra, o in altre dello stesso livello: accanto a Marilyn mentre il metrò le solleva la gonna, con i Beatles sulle strisce di Abbey Road, giusto dietro a Mao durante la Rivoluzione culturale. Tanto per ricordarci che siamo tutti macchiette e, in fondo, poveri Zelig insoddisfatti.

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