Processo e condanna

Ieri, martedì 26 maggio 2015, è incominciato in Corte d’Appello a Milano il dodicesimo processo per la strage di Brescia, delitto che domani, giovedì 28 maggio 2015, celebrerà - si fa per dire - il quarantunesimo anniversario.

Non sono capace, per impostazione culturale e anche per costituzione fisica, di scrivere articolesse impregnate di civica indignazione. Non mi manca il civismo, spero, e neppure l’indignazione: purtroppo, messe entrambe le cose sulla carta, sempre mi accorgo che non suonano solenni e drammatiche come avrei voluto.

Per una volta, però, non credo che ce ne sia bisogno. I fatti parlano da sé: sarà anche il caso di aggiungere, infatti, che il processo per la strage - in cui morirono otto persone e altre cento rimasero ferite - si è aperto con una richiesta di rinvio. I difensori del principale imputato, Carlo Maria Maggi, ne sostengono la necessità perché il loro assistito non sarebbe in condizioni di salute tali da poter per seguire il dibattimento. I giudici hanno disposto una perizia.

Non c’è nulla di irregolare, in tutto questo, al contrario. Vuol dire che l’imputato chiede di esercitare un suo diritto e che il giudice lo accontenta nei termini di legge. Eppure, quando oggi si tornerà in aula per la decisione mancherà un giorno all’anniversario numero 41 della strage: anche questo vorrà dire qualcosa.

Secondo la mia modesta opinione, significa che con tutto il senso del dovere e la caparbietà impiegati nel cercare una sentenza definitiva per quel crimine, la realtà dispone che gli sforzi della giustizia in questo caso siano sempre più formali e sempre meno sociali. Trenta, forse venti anni fa una sentenza avrebbe avuto un senso compiuto: storico, oltre che penale, e politico, oltre che civile. Oggi, l’aula di Milano è fuori da ogni contesto: in essa si celebra solo il processo a un Paese incapace di comprendere se stesso e di guarire le sue ferite. Ma è questa una condanna che già scontiamo da tempo.

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