Prosperi e no

Puntuale come un raffreddore in questa stagione, ma più interessante, l'Istituto Legatum ha pubblicato il suo Rapporto annuale sulla prosperità nel mondo.

Nel misurare la prosperità, il Legatum prende in considerazione oltre 140 Paesi e per ognuno va a verificare diversi parametri. Questi: qualità economica (i dati macroeconomici, le potenzialità di crescita, la trasparenza del settore finanziario), business environment (ovvero se il Paese è in grado di garantire un ambiente favorevole agli affari), governance (la saldezza del sistema democratico, la partecipazione dei cittadini e la qualità del potere giudiziario), educazione, salute, sicurezza, libertà personale, capitale sociale (quanto e come la comunità è coesa e solidale), tutela ambientale. In base a tutto ciò, l'Istituto prepara una classifica.

Per raggiungerne la vetta, contano molto i parametri economici. Non è detto però che bastino. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno un prodotto interno lordo pro capite molto più alto della Nuova Zelanda, eppure quest'ultimo paese è al primo posto e gli Usa solo al diciassettesimo. Perché? Evidentemente perché la Nuova Zelanda ha distribuito meglio le sue risorse tra la popolazione, garantendo al contempo democrazia e libertà personali, ma anche sviluppando un forte senso della comunità senza dimenticare di tutelare l'ambiente.

Queste belle qualità fanno subito pensare all'Italia. Che si trova al trentaduesimo posto, dopo il Cile, giusto davanti a Cipro. Prima di lagnarci, consideriamo che rispetto al 2015 la situazione è migliorata: 12 mesi fa eravamo alla casella 37. Si sale nella prosperità, dunque, ma non basta. Quasi tutti i parametri sono insufficienti per un Paese che vorrebbe essere, in teoria, di prima fascia. Io, ovviamente, non ho una ricetta pratica per dare una pompata alla nostra prosperità. Mi basterebbe solo non diventasse un altro tema sul quale prenderci a schiaffi.

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