Ragione e speranza

Un altro giovinastro prende il mitra e spara e l’America, adesso, sembra decisa a fare sul serio: «Basta con le armi da guerra vendute al distributore automatico: bisogna mettere un freno alla libertà di massacrare il prossimo». L’impeto sembra sincero e non dubito che lo sia: naturalmente, non approderà a nulla. È lo stesso impeto che spinge gli italiani a votare movimenti e partiti di protesta o radicali: sperano di accelerare il cambiamento e di produrre, con ciò, una classe dirigente efficiente e onesta. Anche loro, naturalmente, non approdano a nulla.

Le cose non cambiano solo perché ci sembra giusto che cambino o perché scegliamo quella che ci vien detto essere la strada più breve e indolore per farle cambiare. Non cambiano quasi mai attraverso la politica - che ha (o avrebbe) altre funzioni: amministrare, servire e regolare - e non cambiano nemmeno perché «l’opinione pubblica» le cambia con uno spintone. Vivremmo, altrimenti, in un mondo molto diverso, più malleabile di quanto in realtà non sia e dove, addirittura, i nostri desideri avrebbero la forma di successi (il che, invece, accade di rado). In un mondo «che cambia» avremmo tutto a portata di mano e non ci dibatteremmo nella rabbia e nella frustrazione. In un mondo che cambia, avremmo al massimo due “Sfumature di grigio”, non cinquanta.

Questo non vuol dire che le cose non cambiano. Cambiano eccome: solo, non in danzante sintonia con il nostro desiderio che cambino. Sono convinto che, in futuro, l’America riuscirà a scendere smussare e ammorbidire la sua simbiosi culturale con le armi da fuoco e che l’Italia, sempre in futuro, riuscirà - per amore o costrizione - a schierare una politica più decente e moderna. In questo processo, però, il nostro desiderio che tutto ciò avvenga in fretta conta poco o nulla: forse il due per cento. Il resto lo fanno forze inconsapevoli, umane e sovraumane insieme, pigre come il periodo siderale di Nettuno ma inesorabili: la ragione e la speranza.

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