Riflesso dopo riflesso

Avete presente la piccola “f” bianca su sfondo blu che vi aspetta nello smartphone? E l’uccellino su campo azzurro pronto ad accogliere le vostre 140 battute di genialità?

Ebbene, secondo u n recente studio non si tratta delle porticine d’accesso alla globalità e neppure degli “apriti sesamo” di una comunicazione libera, democratica, generatrice di stimolanti confronti e avventurose scoperte intellettuali. Niente affatto: sarebbero invece spie della vostra depressione.

La parola “depressione” è usata qui nel suo senso clinico, ovvero psichiatrico. Secondo la Treccani trattasi di «modificazione del tono del sentimento in senso malinconico (tedio e pessimismo diffuso, distacco dagli abituali interessi, svalutazione delle proprie capacità psichiche e fisiche), caratteristica di stati psicotici, psiconevrotici e nevrotici».

Lo studio, in realtà, non dice che i social network (ai due cui ho fatto allusione, Facebook e Twitter, ne andrebbero aggiunti molti altri tra cui Google+, Instagram, YouTube, Snapchat, Reddit, Tumblr, Pinterest, Vine e LinkedIn) provocano la depressione; dice però che tra questi e la depressione esiste una “correlazione”. Sarebbe a dire che tra coloro che fanno un uso “assiduo” dei social media, la depressione è presente in misura rilevante, ben più significativa che tra chi ne fa un uso moderato o, addirittura, li ignora.

Lo studio non dice altro. Non spiega perché la depressione sia così diffusa tra coloro che consegnano tanta parte del loro tempo ai social network. Addirittura, la ricerca ci autorizza a ipotizzare che l’uso assiduo dei social sia una conseguenza della depressione e non una causa: Facebook e simili sarebbero così un rifugio per chi avverte un malinconico distacco da se stesso e dagli altri.

Comunque sia, possiamo certamente concludere che questo moltiplicarci in mille rivoli virtuali non aiuta a rigenerare il nostro io. Lo frammenta in mille specchi e il nostro volto - riflesso dopo riflesso - a ogni passaggio si fa più esangue.

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