Sanremo? Meglio delle primarie nello Iowa

Per smisurato, pacchiano, stonato, malvestito ed esasperante che sia (stato), dopo tutto il Festival di Sanremo è andato meglio delle primarie democratiche nello Iowa, il che non è poco. Ha avuto un inizio, una fine (anche se qualcuno, a tarda notte, ha incominciato a dubitarne), un vincitore, un congruo numero di sconfitti e il suo bel share Auditel. Ha generato un numero incalcolabile di post e di tweet, senza contare gli scambi WhatsApp sulla tutina di Lauro piuttosto che sui gommoni proteggi-caduta indossati da Georgina Rodriguez appena sotto il collo.

Insomma, per quanto stravagante, il Festival è ancora una cosa che sta in piedi, fa parlare, e diverte perfino i più recalcitranti, senza contare che permette ai bastian contrari, da noi per tradizione sempre in numero consistente, di voltargli le spalle con virtuosa soddisfazione.

È un po’ una gran tetta, se mi è permesso, il nostro Festivalone: per chi ama amarlo, e non la finisce più con i commenti e i pettegolezzi, e per chi ama odiarlo, e non la finisce più con i commenti e i pettegolezzi.

Certo, si potrebbe cercare di migliorarlo. Non si capisce perché, per esempio, le gag tra ospiti e presentatori debbano sempre essere da latte alle ginocchia, come se fossero state congegnate trenta secondi prima di andare in onda, quasi che il concetto di “prova” non fosse mai penetrato nel mondo dello spettacolo. Immaginereste Riccardo Muti, prima di salire sul podio, rivolgersi all’orchestra con un «Stasera facciamo quella... sapete, quella... ma sì, quella che fa zum zum zum zuuum»? Eppure è più o meno quello che accade a Sanremo, dove, a riprova della pochezza del canovaccio, i presentatori si sentono sempre in dovere di sganciare a pioggia aggettivi esagerati («fantastico», «indimenticabile») nel tentativo di dissimulare il nulla.

Ma, insomma, il Festival forse funziona anche perché è così: non troppo diverso da noi. La notte scorsa c'è stata la cerimonia degli Oscar ma lì, come canta Paolo Conte, se si sbaglia si sbaglia da professionisti: ricordate il caso della busta scambiata nel 2018? A Sanremo si fa casino meno in grande ma con più innocenza. La baruffa tra Morgan e Bugo, infantile come non si può neppure immaginare, è stata infatti accolta sul palco da uno smarrito Fiorello: «Non ho capito che cosa è successo». Si aggirava per il palcoscenico con l’espressione di Stanlio durante una sfuriata di Ollio e ha finito per ripetere: «Non ci ho capito niente».

Noi sì, invece. O meglio: abbiamo capito che non c’è niente da capire, che Sanremo ci assomiglia nella sua inconcludenza, che ci unisce dando l’illusione di contrapporci e che ci ricorda come l’Italia sia pur sempre un set di Fellini. Solo che il Maestro si è chiuso in bagno a piangere e non vuole più uscire.

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