Troppi Cittadini

Un tempo, per incontrarlo, dovevi per forza uscire di casa e andare al bar. Lui era sempre lì, il gomito agganciato al bancone d’acciaio, il bianchino a tiro di dita. Chi entrava, saliva al volo sul treno delle sue certezze: «...e allora che cosa hanno fatto in Germania? Via il permesso di soggiorno a chi prende anche solo una multa...».

Il tempo di ordinare un caffè e ci si accorgeva con sorpresa che, nel frattempo, lui era già molto lontano dalla Germania e dai permessi di soggiorno: «Ma lo sa lei di quanto è calata la produzione dello stagno in Bolivia?» tuonava.

Il suo antesignano più somigliante si trova nelle pagine di un libro, “Ulisse” di James Joyce, e non ha un nome proprio ma solo comune - Cittadino - che però dice tutto. Dalla tribuna di un pub dublinese egli offre la sua opinione, non richiesta, a chiunque passi di lì per una birra. Non opinioni per mammolette, si badi: nazionalista convinto, detesta su tutti gli inglesi, ma anche le altre nazioni europee risultano popolate, secondo lui, da gente infida nonché inane e l’America non può certo offrire nulla di buono, essendo la tana della razza subdola per eccellenza, quella degli ebrei.

Puntella le sue certezze, il Cittadino, con dati storici convenienti e citazioni che si contorcono soffocando fuori dal contesto. Per sollevare indignazione nell’uditorio, declama pistolotti patriottici e ascende a fiammeggianti elevazioni mistiche. Qualora contraddetto o, come dice lui, «provocato», non esita a ricorrere alla violenza.

È curioso constatare come oggi viviamo circondati non più da cittadini ma da Cittadini, ovvero da epigoni del personaggio di Joyce. Ognuno armato di certezze ferree, statistiche a braccio, riferimenti al Pil dell’Ungheria e citazioni da Bignami. Non più al pub, non più al bar, ma ovunque: in strada e in Rete, in piazza e in casa, al governo e all’opposizione. Un esercito di Cittadini tutti uguali: con tante opinioni e mai, dico mai, una sfumatura di ironia.

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