Ciclismo: il cervello contromano

Roba da buttar via la testa. Lo spazio che i media di mezza Italia stanno dedicando alla discussa legge che consentirebbe ai ciclisti (nel senso di persone in bicicletta, da 0 a 80 anni) di andare in senso contrario rispetto alla marcia delle automobili, è inversamente proporzionale all’interesse che suscita nei diretti interessati. Che rasenta lo zero assoluto, per quanto mi riguarda.

Senza scomodare similitudini  evangeliche, sarebbe come se sul Titanic avessero trascorso la notte a discutere di una lampada bruciata mentre, tutt’intorno, la nave andava a picco con un buco grosso così. In altre parole: il problema dei ciclisti non è certo quello di procedere contromano, tanto più che il provvedimento riguarderebbe esclusivamente la zona 30 (nel senso di velocità massima dei veicoli). La questione vera è che le strade sono una giungla dove vige la legge del più forte. E dove il ciclista è sempre e soltanto un intralcio alla circolazione. Come un passeggino, come una carrozzella, come un pedone... Altro che andare contromano.

Le piste ciclabili (per quanto non ne sia un estimatore) non esistono e, laddove ci sono, non sono adeguatamente protette. Le automobili ignorano sistematicamente ogni limite di velocità. Le strade sono percorsi di guerra, piene di buche e di trappole assortite. E in un quadro simile stiamo a parlare del “contromano”? Suvvia, cerchiamo di essere seri.

Bisogna cambiare la testa, prima che le norme del Codice della Strada. Di certi ciclisti, sicuramente. Ma pure di moltissimi automobilisti che si aggrappano al clacson persino quando un moscerino minaccia di sfiorare il loro parabrezza, figuriamoci uno strano figuro che pedala a ciglio strada. Più che certi dibattiti basterebbe moltiplicare quei cartelli affissi da alcuni Comuni illuminati: raffigurano una bicicletta ed un'automobile affiancate su sfondo azzurro e hanno una sola frase: “C’è spazio per tutti”. Appunto. Il resto, come diceva quello, è soltanto noia.

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