C'è modo e modo di uccidere

C'è modo e modo di uccidere

C’è modo e modo di uccidere. Ammesso che si sia superata quella linea sottile che separa il mondo della cronaca bianca dai delitti di cronaca nera, ci deve essere un codice anche nel dopo. La rabbia e la disperazione giocano brutti scherzi, d’accordo. Un dito sul grilletto si fa presto a schiacciarlo. Ma è il dopo che è impossibile da perdonare nell’omicidio di Giacomo Brambilla.
Come può un uomo che ha avuto a che fare tutta la vita con i poliziotti pensare di farla franca a quel modo?
Per sparare serve un secondo, per segare la testa di un cadavere bisogna avere stomaco e una coscienza anestetizzato. Ma la parte più assurda di questa storia è la cottura del forno, una cosa che si vede giusto in film come «Kill bill» , «Bastardi senza gloria», «Una vita al massimo» o «A prova di spia». Zuppe di sangue in cui saltano teste, vengono segate braccia, schizzano occhi e cervelli da tutte le parti, si torturano i protagonisti e strappati scalpi. Delitti talmente fuori dal mondo che lo spettatore ride, perfino. Qui no, qui c’era un uomo in carne ed ossa, non un attore. L’odio poteva portare a ucciderlo, ma almeno doveva finire lì. Un omicidio è sempre senza senso. È un atto di egoismo che rovina la tua vita e quella dei tuoi cari, le vite di chi uccidi e delle loro famiglie. Ma anche quando sei in preda alla follia, non metti la testa a mollo in una teglia, in un forno della pizzeria di tuo suocero, con un cartello fuori che dice: «Non toccare deve cuocere». La testa di un uomo che bolle a fuoco lento. E perché? Per eliminare due ogive.
Non ha senso. Come non l’avrebbe avuto sbarazzarsi del corpo buttando la sua auto in burrone. Ma almeno nessuno avrebbe pensato a una scena da film.

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