Django, Tarantino e la Libertà

Una sola parola. Django. «The D is silent». Tutto quello che c'è da dire su Django - che è un film bellissimo, che va visto assolutamente al cinema, che va comprato e rivisto dieci volte in Dvd - l'ha già detto Tarantino. Che ha riempito le sale americane prima ancora che il passaparola facesse effetto. Tre ore di film, tre valori (libertà, amicizia, amore) attorno ai quali volano miliardi di proiettili e colano litri di sangue.
Tutti i cattivi muoiono, anche un buono in realtà, doctor King, il dentista, il cacciatore di taglie che restituisce la libertà a uno schiavo. Gli leva le catene e Django diventa Django unchained, un uomo libero. Quando i bianchi del Mississipi lo vedono arrivare a cavallo, restano a bocca aperta. «Non hanno mai visto un nero a cavallo». Non hanno mai visto un nero che si ribella, aiutato da un tedesco con un vocabolario forbito (Christoph Walt il cattivo di Bastardi senza gloria) che ha molto più cuore di quanto non sembri in partenza. Il resto è Tarantino. Sangue e spari e colonna sonora da urlo fino a quando Django non si riprende la moglie. Libera pure lei.
Non c'è niente da dire su Django, solo che bisogna andare a vederlo. Perchè Jamie Foxx (Django) che si libera dalle catene e si scuote di dosso la coperta da schiavo è una scena che vale tutto il film. Anche per chi non ama Tarantino e gli spaghetti western all'Italiana al quale il regista americano si è ispirato per il suo film.
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