I giochi sono finiti, torna lo spread

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Sono finiti
i giochi,
torniamo
allo spread

La chiusura di un'Olimpiade è come quando se ne va il sole. È come perdere il migliore amico e il passatempo preferito insieme. È come l'ultima pagina di un libro e l'ultima scena di un film di quelli che ti fanno dimenticare il tuo nome. Per qualcuno è come perdere un amore. Un colpo secco. Al cuore. Le Olimpiadi sono finite. Da oggi niente sarà più lo stesso.
E il vuoto lasciato dai Giochi nel palinsesto televisivo si propagherà al resto della vita come il Nulla della Storia infinita.
Senza gare di tiro al piattello, lancio del giavellotto, tuffi, mountain bike, atletica, pallavolo, basket e nuoto, senza incontri di pugilato, taekwondo e lotta libera, senza gare di nuoto sincronizzato, ginnastica artistica e ritmica, il tempo rallenterà di colpo. E ogni giorno ristagnerà nell'assenza di campioni. Al posto dei commenti sui muscoli degli atleti e sulla bellezza delle atlete resterà un bla bla bla sul niente. Gli occhi persi nel vuoto della gente che non ha medaglie da vincere ma solo la fatica di arrivare a sera da affrontare. Perfino le tute della Russia (orrende) sembrano meglio del grigio che uniformerà il colore della vita senza il mondo dei Cinque cerchi alla tv.
Perché le Olimpiadi sono così. Un ascensore per un altro mondo, la testa rivolta altrove, lo sguardo sempre incollato alla tv. In spiaggia, al lavoro o alle prese con il pranzo per marito e figli, l'argomento di questi giorni è stato uno e uno soltanto. Le medaglie. Una vita scandita dalle gare. Una giornata con due quesiti. Al mattino su cosa potevano vincere i nostri atleti. Alla sera su cosa avevano vinto. Le Olimpiadi arrivano sempre di soppiatto, pensi che stavolta non ti interesseranno e non fai in tempo a finire il pensiero che ti hanno già rapito il cuore. Le Olimpiadi hanno questo potere. Scaraventano l'umanità in un mondo parallelo. Fatto di fatica, potenza, delusioni, vittorie, educazione, sospetti e a volte anche bari. Un mondo popolato quasi sempre, ma non solo, da giovani. Gente che vive nell'anonimato per quattro anni e poi si ritrova un cameraman attaccato ai piedi un secondo prima di sfidare il campione del mondo. Specialità di cui non ci si ricorda neppure, atleti di Paesi persi in qualche angolo dell'atlante. Comandano loro. E comandano bene. Tengono il cervello più sveglio della Settimana enigmistica.
Le Olimpiadi sono uno stop ai cattivi pensieri. Dallo spread ai numeri di Kobe Bryant. Dall'Imu agli scatti di Bolt. Dalle imprese che licenziano a raffica al pieno di medaglie d'oro degli schermidori. A Londra 2012 il mondo si è fermato.
Per due settimane la vita è sembrata più bella. Bella come Gabrielle Douglas, il suo sorriso e i suoi salti. Bella come la finale di basket all'ultimo canestro tra Usa - Spagna. Bella come le atlete della ginnastica ritmica e il loro bronzo.
Le Olimpiadi tengono compagnia. Spalancano le porte su mondi lontani. Fanno fare la pace a Nazioni in guerra come Iran e Usa avvicinate dalla stretta di mano dei loro lottatori. Suscitano antipatie e simpatie, ma sono sempre e comunque cascate di emozioni. Soprattutto, permettono di parlare di qualcosa di nuovo e ispirano fiducia sul futuro del mondo. Per questo non si può smettere di guardarle.
Perché la verità, alla fine, è che tutti, ma proprio tutti sognano di essere lì, un giorno. Alle Olimpiadi. Questo fanno i ragazzi e le ragazze che sono lì davvero, ti fanno credere che sia possibile. Nello stesso momento in cui pensi che non lo è e non lo sarà mai. Sei alle Olimpiadi. Con loro. Grazie a loro. O almeno c'eri. Fino a ieri. Oggi non più.
Anna Savini

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