Chiedo asilo

Siamo tutti, a turno, detestabili in strada. Io provo sentimenti che quasi mi vergogno a confessare, quando mi trovo imbottigliata tra le mamme dell'asilo.

Ora ci sono ricascata. Non capisco chi stia in effetti andando all'asilo, visto che molte sembrano tornate a uno stato primordiale. I piccini sono lì tirati a lucido, e anche con un certo atteggiamento serioso che rende loro onore. Come se la loro - legittima - parte infantile fosse defluita altrove, e più precisamente su chi li accompagna a scuola.

Non tutti i genitori, per carità. Ma un mucchio selvaggio che resiste ai mille appelli all'uso gentile delll'auto, e che parcheggiano davanti a un cancello, pur sapendo che non sarà per un istante, bensì per i minuti necessari a una accurata conversazione con le altre mamme, perché va ammesso che il dilungarsi è pià spesso donna. Infilano le macchine dappertutto, ignorando gli spazi immensi e liberi che talvolta esistono poche decine di metri più in là, anche se in quella via passano persino autoarticolati, che non sono ancora diventati elastici.

Non è tanto ciò che si fa, del resto; piuttosto, è l'atteggiamento di contorno. Ceneri sulla testa zero, nemmeno ispirati dalla Quaresima, anzi reazioni seccate se tu osi suonare il clacson all'automobilista che si è fermato in mezzo alla strada per 1) scaricare il bambino 2) chiacchierare con il genitore del compagno di asilo 3) scrutare in lontananza se il negozio è aperto 4) pensare  ai dilemmi irrisolti del'universo.

In omaggio alla trasmissione radiofonica, chiedo asilo. Lontano dal Paese dei genitori bambini.

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