Questa mattina nella nebbia filtravano prima a fatica, poi giocando, i raggi del sole. In ogni luogo, in ogni ora, si respirava e si vedeva una nebbia con caratteristiche diverse, volti cangianti. Mi tornano in mente le riflessioni dello storico Luigi Giavini: nel dialetto quante espressioni per definire ciascun tipo di nebbia. Invece, quanta difficoltà a raccontarla in modo differente con il nostro linguaggio. Che cosa è diventato ormai? Un vocabolario standardizzato, da cui fuggono i termini - pur così vivi e ricchi - della nostra storia e in cui si introducono seri e boriosi i suoni forgiati dai tempi odierni. Quando sentite rispondervi "Assolutamente sì" o "Assolutamente no", non provate talvolta anche solo un brivido di rabbia o amarezza? Si rimarca l'ovvio (con la partecipazione straordinaria dei concorrenti del Grande Fratello). Poi, di fronte a uno sprigionarsi mutevole della nebbia, scaviamo dentro di noi alla ricerca disperata e forse inutile di espressioni diverse che la possano, non catturare, bensì riconoscere. E di liberarci dalla povertà linguistica e da ciò che nasconde.
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