Le parole sono uno strumento, sono un'arma. In questi giorni drammatici a livello internazionale se ne sono sprecate a iosa - vedi il dramma Norvegia - salvo scusarsi o plasmarle diversamente. Non si può dire nemmeno "sprecare": perché sono comunque un vuoto a rendere. Rimangono conficcate nella mente, ferendo o (nei soggetti disturbati, si dice) diventando ciò che non volevano essere. La prova del nove fresca fresca a livello locale.
Siamo certi che il segretario della Lega di Busto non volesse operare l'odioso accostamento profughi-rifiuti nel suo intervento. Però rischia di passare, se non un simile messaggio, quello dello straniero visto come un peso. Ingiusto sempre, e a maggior ragione quando parliamo di profughi. E tanto più quando provengono da un Paese che stiamo bombardando da mesi: per liberarlo, assicurano tutti, cosa che però doveva avvenire in tempi record... Ora, non entriamo nel merito della missione, che pur lo stesso Carroccio ha risostenuto in queste ore.
Ci limitiamo a riflettere sul fatto che tutti noi dobbiamo calibrare le parole con maggior attenzione in un'epoca dalla comunicazione così "facile", anche nella lettura superficiale. Soprattutto quando hanno a che fare con la vita, e con la morte.
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