La vecchia
Europa
e i nuovi
modelli

  La crisi che attraversa l'asse Europa-Stati Uniti non è di quelle leggere. L'Atlantico, una volta dominatore dei traffici e dell'economia mondiale, soffre non solo della concorrenza dell'asse orientale, la linea che unisce nel Pacifico le economie asiatiche a quella californiana, ma anche di una profondissima sofferenza interna. Ora, chiaramente un vecchio modo di concepire non solo la "politica" in generale, ma proprio il ruolo e la funzione dello Stato, è entrato nella sua fase terminale e non potrà che essere sostituito presto da modelli radicalmente alternativi. La vecchia Europa, dove si sta consumando una crisi che miete vittime reali e ideali, ovvero i morti suicidi e i disoccupati da una parte, senza contare chi vive ormai in miseria, e il modello ottocentesco di Stato dall'altra, potrebbe anche mostrarsi all'avanguardia nel cambiamento necessario. Le alternative sono due, al momento. Sembrano in contraddizione l'una con l'altra, ma in realtà portano, per vie diverse, al medesimo risultato, ed anzi la seconda strada deriverà necessariamente dal percorrere la prima.
Da un lato, le periferie produttive degli Stati centrali, ottusamente burocratici ed accentratori, ancorati ad un passato morto e sepolto, si ribellano. Il recente voto catalano dà un segnale chiaro, e duplice. La maggioranza dei catalani vuole creare uno Stato indipendente, come fu per secoli il regno di Aragona; allo stesso tempo i catalani non voglio delegare tale creazione ad una singola entità partitica, nel caso quella di Mas, che poi si troverebbe legittimata a governarlo forse per un lungo periodo di tempo. Ma la strada per la prossima indipendenza della Catalogna da Madrid, una volta che i vari partiti indipendentistici avranno trovato un accordo, è ormai tracciata, nel segno della concertazione trasversale, ovvero, per usare le parole di Mas, della "responsabilità condivisa". E creare un nuovo Stato, anche se in realtà è il ritorno di uno antico mai veramente soffocato dalla Storia, non è responsabilità da poco.
In Veneto, il movimento "Indipendenza veneta", nato in maggio, ha raccolto 20.000 firme per l'indipendenza in pochi mesi, le ha consegnate al Consiglio Regionale e il 28 novembre i consiglieri hanno approvato a larga maggioranza la risoluzione che auspica la creazione di un tavolo di giuristi e di tutte le condizioni a livello internazionale perché il "popolo veneto", riconosciuto come tale dalla legge italiana, si avvii sulla strada dell'autodeterminazione: ovvero, con un libero referendum, lo strumento più autentico della democrazia, scelga a maggioranza assoluta se rimanere all'interno della compagine statale italiana, oppure dar vita ad una entità statale indipendente.
Iin Scozia, nell'autunno 2014, si terrà un referendum per tornare alla sovranità assoluta, cancellata brutalmente nel 1707 - sette anni prima rispetto all'annullamento delle residue libertà catalane da parte di Filippo V nuovo re di Spagna - e ripristinata gradualmente, con l'apertura, ad esempio, del Parlamento scozzese di Holyrood a Edimburgo, istituito con il Scotland Act del 1998. Il referendum scozzese trascinerà con sé quello del Galles, mentre è probabile che quello catalano si tiri dietro l'analogo nei Paesi Baschi, e quello Veneto abbia ripercussioni immediate in Friuli. Il Friuli infatti si troverebbe nella situazione di essere una "exclave" italiana, priva di confini con l'Italia, qualora il Veneto diventasse indipendente.
A questo punto, si assisterà ad una frammentazione di tutti gli Stati nazionali europei? Non è detto. Nel senso che questi eventi radicali dovranno portare finalmente al ridimensionamento della mostruosa spesa pubblica spagnola e italiana (e anche britannica), ad una serie di liberalizzazioni, insomma a politiche autenticamente liberali. Per cui al trionfo dell'indipendentismo dovrà seguire, per gli Stati privati di parte di territorio estremamente produttive, un trionfo del liberalismo applicato.
Purtroppo la storia, sia italiana sia spagnola, ha dimostrato negli ultimi trent'anni come il liberalismo sia stato prima avanzato come bandiera ideologica da tutti i partiti e le fazioni, poi abbandonato miseramente nel momento in cui tali partiti, il Pdl in testa, nella sua versione originaria, Fi, si sono trovati a governare davvero il Paese.
Insomma, quella della vecchia Europa si potrebbe chiamare ansia di cambiamento. In realtà, è solo istinto di sopravvivenza. Ogni altra strada è preclusa e il tempo è sempre più simile al Chronos che divora i suoi figli, sposato alla Necessità, e padre di dolore. L'Europa da un secolo ai margini della Storia sta ritornando in questo modo al suo centro.
Paolo L. Bernardini

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