Se due cubani (in Cuba vige lo "ius soli") hanno un figlio in Italia dove vige lo "Ius sanguinis", il figlio nasce apolide, quindi va iscritto al Consolato cubano e poi per acquisire la cittadinanza cubana deve vivere a Cuba almeno tre mesi, di seguito lo stesso bimbo per acquisire la cittadinanza italiana deve rimanere residente in Italia dalla nascita fino al compimento dei diciotto anni. Quindi ambedue i sistemi sono interessanti e complicati. Noi siamo in necessità di manodopera e di linfa giovane e può avere un senso valutare lo "ius soli" in prospettiva anche europea. Negli anni passati la filosofia era comunque di favorire con lo "Ius sanguinis" l'idea che avevano la priorità i figli degli italiani a suo tempo emigrati e che ora intendono tornare in Italia. Con i dovuti controlli e regole benvenga anche lo "ius soli".
Giambattista Bordoli
È davvero sorprendente la resistenza d'alcuni partiti, Lega in primis, all'introduzione dello ius soli. Non è solo una questione d'opportunità per un Paese carente di forze giovani e di potenziali lavoratori.
È, come ha detto Stefano Rodotà, una questione di civiltà. È infine (soprattutto) una questione razionale e di buon senso. Se un cittadino è nato qui da genitori stranieri, dovrebbe essere subito riconosciuto come italiano. Ma lo dovrebbe essere anche se ci vive da molti anni, supera la maggiore età, non ha la fedina penale sporca. Con quali convincenti ragioni si può opporre un no? Con quanto rispetto dell'eguaglianza? Con che idea della società multietnica? La risposta sembrerebbe scontata, ma le polemiche di segno razziale, fresche di questi giorni e indirizzate al ministro Cecile Kyenge, purtroppo non l'autorizzano.
Max Lodi
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