Raffica di eccezioni in aula
Anoressia, al via il processo

Clima teso ieri mattina in Tribunale a Como, dove si è finalmente aperto (tre anni e mezzo dopo l'avvio dell'indagine) l'imponente processo nei confronti dello svizzero Waldo Adolfo Bernasconi e del suo clan di presunti esperti in materia di cura ai disturbi dell'alimentazione.

COMO - Clima teso ieri mattina in Tribunale, dove si è finalmente aperto (tre anni e mezzo dopo l'avvio dell'indagine) l'imponente processo nei confronti dello svizzero Waldo Adolfo Bernasconi e del suo clan di presunti esperti in materia di cura ai disturbi dell'alimentazione.
Centinaia di pazienti, in larga parte italiane, curate per una decina d'anni a cavallo del secolo tra le sedi di Breganzona - in Ticino, dove si trovava la casa di cura Sanavita - e la Cascina Respaù, nei boschi di Camerlata, pied à terre comasco del gruppo. Uno degli imputati, Piero Billari, sorta di direttore amministrativo delle cliniche di Bernasconi, è stato aggredito verbalmente nell'atrio del tribunale dalla zia di una delle sue presunte vittime, una giovane comasca che oggi si è ricostruita una vita all'estero ma che, all'epoca in cui fu paziente del "guru", finì per buttarsi dalla finestra di una stanza d'ospedale, uscendo malconcia ma miracolosamente viva. Clima teso anche in aula, tra gli avvocati difensori, le parti civile, la Procura della Repubblica, contestatissima, sia per quanto attiene alla stesura del capo di imputazione (tra i difensori c'è chi ne ha chiesto la nullità, sostenendo che manchi di riferimenti temporali precisi in merito all'episodio di violenza sessuale contestato all'imputato Billari) sia, di nuovo, per quanto attiene alla competenza territoriale del tribunale di Como e alla sua giurisdizione. Il tribunale, presieduto da Francesco Angiolini (a latere Carlo Cecchetti e Gian Luca Ortore), ha respinto tutte le istanze preliminari, al termine di una udienza conclusasi poco prima delle 19: il pm Mariano Fadda ha avuto ragione nel sostenere la competenza del tribunale di Como e la piena giurisdizione italiana su reati commessi senz'altro a cavallo del confine ma ai danni di un numero consistente di concittadini. Una settantina le parti civile costituite, ivi comprese le Asl di Como, Savona, Padova, Milano due, Monza tre e Rimini, che a suo tempo avevano concesso a Bernasconi una sorta di accreditamento. L'unica concessione, alle richieste degli avvocati Angelo Giuliano e Piermario Vimercati, che assistono Bernasconi, i suoi familiari e la loro collaboratrice Silvia Agoletti, è stata l'ammissione delle istanze di patteggiamento: due anni per il "guru", uno e sette per la moglie, uno e 11 per la Agoletti. A fine processo, se lo riterrà, il giudice potrà eventualmente applicarle. Bernasconi, come detto, non c'era: «È una vicenda che lo ha turbato moltissimo - ha detto a margine dell'udienza l'avvocato Vimercati - Ha scelto di non venire, almeno per ora. Se nel corso del processo sarà necessario che si presenti, allora valuteremo». Vimercati è tornato anche sull'abbondanza di testimoni, circa 200, presentati dal collegio difensivo: «Lo richiedeva l'imponenza dell'accusa formulata nei nostri confronti, che meritava altrettanta profondità». L'avvocato Giuseppe Sassi rappresenta decine di parte civili. Si è opposto all'eventualità di celebrare il processo a porte chiuse, vista la natura dei reati contestati, altro tema di dibattito in aula (poi il tribunale ha optato per il pubblico dibattimento), e ha affrontato il tema dei risarcimenti: «Siamo amareggiati - ha detto - Nessuna delle vittime ha ottenuto un centesimo, sia pure a fronte di reiterate promesse».
Si torna in aula il prossimo 8 novembre, con l'ammissione delle prove, delle liste testimoniali e, se resterà del tempo, anche per sentire i primi testimoni.
St. F.

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