Agenti “fermati” dai colleghi svizzeri
Ecco com’è nato l’incidente diplomatico

Minuto per minuto tutto quello che è accaduto la notte in cui due poliziotti italiani sono stati bloccati e disarmati dagli agenti della cantonale. L’ubriaco inseguito in Italia sarebbe stato arrestato, in Svizzera è stato solo denunciato

La vicenda dei poliziotti italiani fermati e disarmati dai colleghi svizzeri mentre inseguivano un ubriaco oltreconfine, ha riacceso antiche ruggini tra comaschi (leggi i commenti sul nostro sito web) e ticinesi (leggi l’articolo pubblicato da una testata elvetica) . Commenti spesso sopra le righe, dettate anche da una conoscenza parziale di quello che è accaduto.

Il quotidiano La Provincia è in grado di ricostruire minuto per minuto l’incidente diplomatico finito sul tavolo della Farnesina.

Lunedì 26 gennaio, mancano pochi minuti alle due di notte. Una pattuglia della Polstrada di Busto Arsizio blocca all’altezza di Turate una Hyundai che procede a zig zag sull’A9, in direzione Svizzera. L’autista a bordo, un uomo di 57 anni di Borgomanero (Novara), è ubriaco, ma gli agenti non hanno l’etilometro a bordo. Mentre attendono l’arrivo di un’altra pattuglia la Hyundai riparte all’improvviso. Ne nasce un inseguimento, durante il quale l’automobilista ubriaco tenta più volte di speronare l’auto della stradale (un agente è anche rimasto ferito, con una prognosi di 15 giorni).

Verso le due la centrale operativa della Questura di Como, ricevuta la richiesta di rinforzi, contatta una delle volanti in servizio in città e la manda in autostrada per bloccare l’auto in fuga. Quando gli agenti comprendono che la Hyundai è diretta a folle velocità verso la Svizzera ricontattano la sala operativa per chiedere di avvisare la polizia elvetica. Cosa che avviene.

La telefonata giunge al Centro di cooperazione doganale di Chiasso dove, in tempo reale, l’agente italiano in servizio comunica al collega svizzero quanto avviene. Questo gira la segnalazione alla sua centrale operativa. Sulla base della Convenzione di applicazione del trattato di Schengen (firmato anche dalla Svizzera) il Centro di cooperazione dà il via libera all’inseguimento oltre confine (consentito, stando all’articolo 41, anche senza preventiva autorizzazione in caso di fuga dopo incidente grave, come quello che - nella lettura che ne fanno le autorità italiane - ha coinvolto la pattuglia della Polstrada speronata). Nel frattempo i due poliziotti della volante si erano bloccati a Brogeda, in attesa di istruzioni. Avuto il semaforo verde via radio dalla sala operativa della Questura, sono entrati in Svizzera. Nel frattempo una pattuglia della polizia cantonale ferma l’ubriaco all’area di servizio di Coldrerio e, pochi minuti dopo, viene raggiunta dai colleghi della squadra volante di Como.

I due poliziotti svizzeri si informano sull’accaduto e chiedono agli agenti italiani di ammanettare il fuggitivo. Passano pochi minuti e arriva una pattuglia del reparto mobile sottoceneri. Il clima di collaborazione cambia subito. Un sergente della cantonale ordina ai due agenti di Como di consegnare le pistole d’ordinanza, di togliere le manette all’ubriaco (risultato positivo all’alcoltest, con un tasso pari quasi a 2 milligrammi d’alcol per litro di sangue, contro un limite di 0,5) e obbliga anche i due poliziotti a effettuare il test per verificare se hanno bevuto (l’esito, ovviamente, è stato negativo).

Sono le tre quando arriva da Lugano una terza auto della cantonale, con a bordo un capitano. I due agenti vengono invitati a salire sulla loro auto e scortati fino alla caserma di Noranco. Qui vengono divisi, piazzati in due differenti stanze per gli interrogatori e sentiti a verbale per ore. Soltanto dopo le 6 vengono autorizzati a rientrare - scortati - in Italia. Una volta a Brogeda i colleghi restituiscono loro le pistole.

E l’ubriaco? Fosse stato preso in Italia sarebbe quasi sicuramente finito in cella di sicurezza, arrestato per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, in Svizzera è stato semplicemente denunciato per guida in stato di ebbrezza e multato con un verbale 3.200 franchi.

Il giorno successivo, mentre il responsabile italiano del Centro di cooperazione doganale e gli agenti della volante erano impegnati a compilare una relazione di servizio finita poi in Procura e, da qui, al ministero degli Affari Esteri, il coordinatore svizzero dello stesso Centro di Chiasso rifiutava di consegnare ai colleghi italiani una copia degli atti esistenti sull’episodio, sottolineando come per loro il caso era chiuso e che si era trattato di un inseguimento in terra straniera non legittimato dalle norme della Convenzione di Schengen.

Mentre, sul trattamento «umiliante» subito dagli agenti italiani, avrebbe detto: normali procedure. Il caso è tutt’altro che finito.

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